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di Cataldo Intrieri

linkiesta.it, 19 febbraio 2024

Stati illiberali come Russia e Ungheria hanno sottomesso la magistratura al governo e rifiutano di applicare il diritto internazionale. Adesso anche Roma sembra prendere questa deriva: si rifiutano le leggi europee con il pretesto della sovranità popolare. La fredda, apatica accoglienza riservata dal governo italiano all’assassinio di Alexei Navalny non deve stupire. Esattamente un secolo fa in Italia la destra al governo dell’epoca uccideva un altro eroe “comune”: Giacomo Matteotti. E, superato, il primo momento di emozione, il regime digerì anche la poca e sterile protesta che si sollevò. La sua figura fu infangata fino all’improntitudine di processare formalmente i suoi assassini condannati a pene miti e di consentire al loro difensore, il gerarca Roberto Farinacci, di sostenere che “lui” se l’era cercata, e che ai sicari, fedelissimi del partito fascista, andava concessa l’attenuante della provocazione.

Non manca in queste ore chi si è affrettato a ricordare le contraddizioni di Navalny, il suo nazionalismo, i suoi affari. Come se questo potesse intaccare la limpidezza del suo ostinato coraggio da puro folle, l’incarnazione dell’idiota di Fëdor Dostojevski. Non cito a caso il processo per l’omicidio di Matteotti, perché i regimi più spietati sanno mascherare il proprio disprezzo per la legge sotto l’ipocrita veste del suo rispetto formale. Alexei Navalny fu più volte processato e condannato con procedure che offendevano i diritti umani e contro cui si ribellava ricorrendo alla Corte europea di Strasburgo. Incredibilmente, la Russia era stata accolta nel consesso delle nazioni civili al Consiglio europeo perché, ci spiega ancora qualcuno, il genio di Silvio Berlusconi aveva trovato il modo di portare Vladimir Putin sulla retta via.

Invece Putin, mentre indossava il vestito buono in società, a casa sua calpestava ogni elementare regola. Sono circa una decina i processi intentati al dissidente russo, tra cui uno ha dato vita a una delle più significative pronunce della Cedu in tema di rispetto del principio di legalità, il diritto di ogni cittadino a conoscere male condotte vietate dallo Stato in base a norme chiare e precise. Così sono nati l’habeas corpus e lo Stato di diritto contrapposti alle monarchie assolute.

Navalny e il fratello avevano costituito due società private con le quali gestivano determinati servizi postali per alcune aziende, a loro volta subappaltandoli ad altre società conseguendone vantaggi fiscali per la società principale. Veniva loro contestato il reato di frode fiscale sebbene nessuna norma vietasse questo tipo di contratti in base a una libera interpretazione della norma che punisce la truffa ai danni del fisco. La sentenza di condanna è stata censurata dalla Corte di Strasburgo in base all’elementare presupposto secondo cui “l’art. 7 Cedu identifica il generale principio di legalità in materia penale, ove stabilisce che nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno” (nulla poena sine lege).

La Cedu ha osservato che il reato ascritto ai due imputati non era da ritenersi per loro sufficientemente chiaro e tassativo nel momento in cui attivarono le condotte in oggetto. In particolare, la stessa Corte europea per i diritti dell’uomo rilevava come la Corte penale russa avesse adottato nel caso di specie “an alternative interpretation” dell’articolo 159 del codice penale russo mai adottata prima e dunque non conoscibile dai cittadini prima. L’essenza della Rule of law.

Il ministero della Giustizia russo si è rifiutato di applicare la sentenza della Corte europea come pure gli avrebbe imposto l’art. 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa di cui la Russia faceva parte prima di essere estromessa dopo l’invasione dell’Ucraina. Con un’apposita riforma della costituzione varata a tambur battente nel 2020 con un plebiscito referendario, Putin oltre a rafforzare il proprio potere ha inserito una norma che consente alla Corte Suprema russa di respingere le norme e le sentenze di diritto internazionale che essa ritenga incompatibili con la legislazione interna.

Il punto è cruciale per capire l’”abbaglio democratico” dietro cui si nascondono gli Stati illiberali come la Russia e i suoi alleati e simpatizzanti. Stati come Ungheria e Polonia, che formalmente rispettano la divisione dei poteri, ma che in realtà hanno sottomesso al governo la magistratura e rifiutano con il pretesto della sovranità popolare di uniformarsi ai principi di diritto internazionale.

A questa ipocrisia si è piegato furbescamente il governo italiano nella vicenda di Ilaria Salis fingendo ipocritamente di rispettare la bubbola dell’indipendenza dei giudici ungheresi dagli artigli di Viktor Orbán. Come ha spiegato Linkiesta, i giudici magiari sono sottoposti al controllo di organismi nelle mani del governo e non hanno la libertà neanche di rivolgersi alla Corte europea dei diritti umani e a quella europea di giustizia nonostante ciò sia previsto e reso obbligatorio dai trattati europei cui l’Ungheria ha aderito e da cui trae cospicui finanziamenti.

Non c’è da rispettare e confidare in alcun modo nella giustizia ungherese - che chiaramente fa capire che non libererà mai l’insegnante italiana -, cui Giorgia Meloni e Antonio Tajani fingono di credere, bisognerebbe solo ribadire con chiarezza che andrà avanti sino alla fine la procedura di infrazione con conseguente sospensione dei fondi economici. Altro che la strizzatina d’occhio all’insegna del “mo’ ce penso io a Viktor”.

E c’è da pensare seriamente al futuro italiano: nella dialettica (legittima) tra corti europee e corti costituzionali, quella italiana ha una forte tradizione di autonomia e di gelosa custodia delle proprie prerogative. Fino a oggi la tradizione della Corte è stata quella di privilegiare il dialogo diplomatico tra le corti nazionali e internazionali componendo e trovando un punto d’accordo nei rari casi di diverso parere su questioni delicate come la disciplina della prescrizione.

Sarà così anche per un futuro dove si prevede una robusta immissione di giudici di nomina parlamentare? Cosa accadrà in futuro su temi delicati e conflittuali come il fine vita, la procreazione assistita, i nuovi assetti familiari, l’immigrazione, fino a temi tecnici come le intercettazioni processuali e quelle preventive oggi portate dal governo sotto il controllo di un unico ufficio giudiziario? Cosa accadrà nel caso in cui su queste materie si venga a creare un conflitto del governo con le corti europee? L’Ungheria è vicina.