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di Jacopo Storni

Corriere della Sera, 28 luglio 2023

Il docente iraniano naturalizzato svedese Ahmadreza Djalali, accusato di spionaggio, è detenuto in condizioni orribili da sette anni. “Non vedo mio marito da sette anni, è detenuto in condizioni orribili, è diventato pelle e ossa e potrebbe essere ucciso da un giorno all’altro, mi appello al governo italiano affinché possa fare qualcosa per favorire la sua liberazione, mio marito ha vissuto in Italia per tre anni e al momento dell’arresto era residente in Italia”.

Vida Mehrannia è la moglie di Ahmadreza Djalali, medico e docente iraniano naturalizzato svedese (collaboratore anche con l’Università del Piemonte orientale), specializzato in medicina nelle emergenze e accusato dall’Iran di spionaggio e collaborazione con Israele, e per questo arrestato nell’aprile 2016 (dopo un invito in Iran dall’Università di Teheran) e condannato a morte. Come sostenuto dall’avvocato di Djalali, il tribunale non ha fornito alcuna prova per giustificare le accuse di spionaggio.

Amnesty International teme che le autorità iraniane stiano minacciando di mettere a morte Djalali per costringere Belgio e Svezia a consegnare due ex funzionari iraniani, Asadollah Asadi, un ex diplomatico iraniano che sta scontando una condanna a 20 anni in Belgio in relazione a un attentato poi sventato in Francia, e Hamid Nouri, ex dirigente penitenziario sotto processo in Svezia per la sua presunta partecipazione ai massacri del 1988 nelle prigioni iraniane. Abbiamo raggiunto la signora Mehrannia, madre di due figli avuti con Djalali e residente in Svezia, attraverso la mediazione di Amnesty International Italia, che ha lanciato una petizione pubblica per il rilascio che ha raggiunto quasi 300mila firme.

Signora Mehrannia, quali sono le condizioni di detenzione di suo marito?

“Ahmadreza vive in condizioni orribili, in una stanza stipata, sporca, insieme ad altri detenuti, in condizioni del tutto disumane. Viene torturato mentalmente ogni singolo giorno”.

Rischia l’esecuzione?

“Sì, è a rischio imminente di esecuzione, potrebbe essere ucciso da un giorno all’altro senza preavviso. Proprio nei giorni scorsi, i media iraniani hanno pubblicato un articolo con una chiara minaccia nei suoi confronti”.

Quali sono le sue condizioni di salute?

“È diventato pelle e ossa, pesa 57 kg e soffre di molte malattie. Ad esempio, ha perso molti denti, ha un basso numero di globuli bianchi e ha bisogno di cure mediche immediate”.

L’ultima volta che gli ha parlato?

“Non abbiamo alcun contatto diretto con lui, a volte la sua famiglia in Iran riceve una sua telefonata, così loro ci chiamano, mettono due telefoni vicini e noi riusciamo a sentire la sua voce. Gli negano persino di chiamare i suoi figli”.

Come vivete questa situazione?

“Questa situazione ha influenzato le nostre vite in tutti gli aspetti negli ultimi sette anni e mezzo. Non è possibile vivere una vita normale sapendo che la persona amata soffre ogni minuto, desiderando solo la libertà e il ritorno a casa. Ci chiediamo ogni giorno: quando finirà questo incubo?”.

Come è riuscita a sopravvivere sette anni e mezzo lontano da suo marito?

“L’unica cosa che ci fa andare avanti è il sostegno delle persone, delle organizzazioni per i diritti umani, dei politici e anche vedere come Ahmadreza fa del suo meglio per sopravvivere ogni giorno in modo da poter tornare con noi, prima o poi”.

Come stanno i suoi figli?

“Sono profondamente colpiti. Ogni compleanno, Natale, Capodanno, pensano al padre e desiderano la sua libertà”.

Vuole lanciare un appello?

“Voglio fare appello al governo italiano e ai politici italiani affinché possano usare tutte le loro possibilità per rilasciare Ahmadreza. Mio marito ha lavorato in Italia e la nostra famiglia ha vissuto lì per 3 anni. Al momento del suo arresto, Ahmadreza era residente in Italia. Una parte del suo cuore appartiene ancora all’Italia e chiediamo al governo italiano di fare tutto il possibile per liberare un padre innocente da una morte orribile”.