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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 19 agosto 2023

Tra i firmatari della lettera destinata al Guardasigilli anche Francesco Greco e Piercamillo Davigo, oltre alle toghe della stessa generazione del ministro. “Forse l’intento del governo è controllare l’azione del pubblico ministero”.

“Siamo magistrati in pensione civilisti e penalisti, giudici e pubblici ministeri, che sentono il bisogno di intervenire contro l’annunciata riforma della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri”. Sono trecento (320 già solo in tre giorni di firme), non sono (più) giovani, e se saranno forti lo si vedrà a seconda di quanto impatto avrà l’appello che stanno lanciando dalla pensione. Sì, perché questa è la “Generazione Nordio” che scrive a Nordio, sono tutti (come il ministro della Giustizia) magistrati in pensione, toghe già da tempo a riposo, e che dunque ritengono disinteressato il proprio punto di vista nutrito da assai differenti orientamenti culturali, posizioni associative, pregressi incarichi, e a volte persino accesi passati confronti.

I promotori (tra i quali il giudice Luigi Caiazzo e il pm Gianluigi Fontana) raccolgono ad esempio l’adesione della prima donna presidente di sezione della Cassazione, Gabriella Luccioli; del civilista presidente aggiunto di Cassazione ed ex commissario Consob, Renato Rordorf, o sempre in Cassazione del procuratore generale Giovanni Salvi; di due capi del Dipartimento delle carceri, Giovanni Tamburino e Dino Petralia; dei magistrati che scoprirono la loggia P2, Gherardo Colombo e Giuliano Turone. Ex pm di Mani pulite, oggi ai ferri corti sul caso Amara, firmano invece all’unisono l’ex procuratore di Milano Francesco Greco e Piercamillo Davigo; i già procuratori di Torino agli opposti dal punto di vista associativo, Marcello Maddalena e Armando Spataro, ex componenti Csm come Vittorio Borraccetti; il giurista di Cassazione Aniello Nappi, e l’ex avvocato generale Nello Rossi; un leggendario presidente di Corti d’Assise come Camillo Passerini; la civilista Elena Riva Crugnola; il procuratore genovese del ponte Morandi, Francesco Cozzi, il pm antimafia milanese Alberto Nobili, o i presidente della Corti d’Appello di Milano e Napoli, Vincenzo Salafia e Giuseppe De Carolis.

Dopo aver ricordato che nella quotidianità delle aule “dalle riforme Castelli e Cartabia già sono stati praticamente eliminati i passaggi da una carriera all’altra”, i firmatari additano che l’annunciata riforma, in Parlamento dal 6 settembre, “stravolgerebbe l’attuale architettura costituzionale che prevede non solo l’appartenenza di giudici e pm ad un unico ordine giudiziario, indipendente da ogni altro potere, ma anche un unico Csm”.

A chi sostiene che ciò “darebbe un vantaggio al pm rispetto al difensore”, ribattono che “i giudici guardano alla rispondenza agli atti e alla logica degli argomenti delle parti, e non certo alla posizione di chi li propone: se fosse fondato questo sospetto, anche il giudice dell’impugnazione non dovrebbe far parte della stessa carriera del giudice del precedente grado di giudizio. Per contro, è essenziale che il pm abbia in comune con il giudice la stessa formazione e cultura della giurisdizione, godendo anche della stessa indipendenza, perché la sua azione deve mirare all’accertamento della verità, e deve poter essere rivolta nei confronti di chiunque, senza alcun timore. Oggi il pm, proprio perché organo di giustizia, è obbligato a cercare anche le prove favorevoli all’indagato e non di rado chiede l’assoluzione: avverrebbe lo stesso con un pm formato nella logica dell’accusa e del tutto separato dalla cultura del giudice? Ci sorprende che i fautori delle carriere separate non vedano i pericoli”. A meno che, teme la “Generazione Nordio”, “il vero intento sia quello di consentire al governo di controllare l’azione del pubblico ministero”.