sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Corrado Zunino

La Repubblica, 13 settembre 2023

L’oncologo che lo ha in cura: “Adesso è in carico ai colleghi delle terapie di supporto”. Il capo clan viene nutrito solo per vena. E non vuole che la giovane lo veda magro e confuso. Sta morendo solo, Matteo Messina Denaro. Fuori dalla sua stanza nell’edificio L4 dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila, alla metà di un corridoio lungo e buio tra il Centro vaccinazioni e la Neuropsichiatria infantile, ci sono solo cinque poliziotti, tra loro una donna. È il Reparto detenuti, al primo piano. In strada, tre uomini dell’esercito bloccano la porta d’ingresso diretta, altri cinque agenti di polizia sostano nel parcheggio e al tramonto risale un furgone con sei agenti penitenziari all’interno. “U Siccu” in carcere non tornerà più, però. Il tumore al colon è in uno stato avanzato e le cure, dolorose, lo stanno costringendo a stati contrapposti: a volte è vigile, persino ironico con chi è intorno. In altri momenti è piegato sui suoi mali.

Lo staff che lo ha in cura - Il professor Luciano Mutti, oncologo che ha lavorato a Londra, Manchester, Philadelphia, e che ha preso Messina Denaro sotto la sua responsabilità clinica dal giorno successivo all’arresto, il 17 gennaio scorso, rivela: “Adesso è in carico ai colleghi delle terapie di supporto”. Il primario, qui, è Franco Marinangeli. Non ci sono degenerazioni rapide del quadro comunque compromesso, ma il paziente, sempre così attento a chiedere lumi sulle condizioni personali, ha smesso di fare domande: ha compreso la verità. Dall’8 agosto, quando è stato operato per un’occlusione intestinale, seconda operazione dopo quella urologica, la situazione clinica è rotolata verso la gravità acuta. In mezzo c’è stato anche un periodo trascorso in terapia intensiva, a causa di un sovradosaggio dei farmaci. Negli ultimi dieci giorni il boss ha sempre avuto la febbre e la sua nutrizione è passata direttamente in vena. Si alza sempre meno dal letto e il ricovero, all’interno di questa palazzina alta due piani e con i mattoni gialli a vista, è diventato un’agonia solitaria. Ieri, in orario di visita - venti minuti per gli altri pazienti - non c’era nessuno. La nipote Lorenza Guttadauro, che poi è l’avvocata del lungo latitante, si è trasferita all’Aquila e, di solito, è assidua in ospedale.

In Abruzzo anche la figlia - È salita nella città d’Abruzzo anche la figlia, Lorenza Alagna, 27 anni, che dopo una vita di allontanamento dal padre e dalle sue scelte, ha appena accettato di ricevere quel cognome pesante: Messina Denaro. In questo percorso di dolore, si è compiuto il riavvicinamento, ma il padre non vuole farsi vedere dimagrito e confuso dalla giovane donna che ha rincorso per una vita sperando in un gesto di riconciliazione.

Matteo Messina Denaro non aveva mai conosciuto, come scriveva dalla latitanza all’ex sindaco di Castelvetrano, la figlia avuta insieme a Franca Alagna. Per sedici anni Lorenza aveva vissuto in casa della mamma del boss, ma poi ha cercato l’indipendenza, anche per sottrarsi a un’asfissiante pressione investigativa. La distanza tra padre e figlia si è allargata. Lorenza ha studiato in un liceo, si è sposata e due anni fa ha avuto un bambino. “Perché non vuole vedermi?”, era il dispiacere di un padre che in questo modo rinsaldava la tesi di una rottura consumata. “Notizie destituite di fondamento”, le aveva definite il legale Franco Lo Sciuto per conto della giovane. Lorenza Alagna e Matteo Messina Denaro si sono visti per la prima volta ad aprile, nel carcere dell’Aquila. È stata lei a decidere di incontrarlo. Lo ha visto, dentro un blindato, anche il nipote di due anni. La malattia ha accelerato la decisione di ricomporre, anche per l’anagrafe, il rapporto.

Le parole del fratello del bambino sciolto nell’acido - “Il suo dolore finirà con la morte, il nostro durerà tutta la vita”, dice Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, sciolto nell’acido 27 anni fa da Cosa Nostra.