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di Donatella Stasio

La Stampa, 14 luglio 2023

Nel saggio “Verità e politica”, Hannah Arendt scrive che la sincerità non è annoverata tra le virtù politiche mentre “le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico ma anche dello statista”. Fortunatamente i fatti hanno una loro ostinatezza e talvolta si impongono anche attraverso gesti.

Come l’incontro di mercoledì al Quirinale tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i vertici della magistratura italiana: quel gesto ha fatto giustizia - è il caso di dire - delle menzogne politiche sulla magistratura accreditate per giorni e giorni, con tanto di comunicati stampa, da “fonti” anonime di Palazzo Chigi e del ministero della Giustizia, e successivamente rivendicate dalla premier nella conferenza stampa a Vilnius.

Forse Giorgia Meloni era stata male informata dai suoi consiglieri giuridici, ingannata a sua volta sui fatti; certo è che ha contribuito ad amplificare ulteriormente l’ingannevole rappresentazione di un complotto della magistratura ai danni del centrodestra in vista del voto europeo del 2024. Quanto più una menzogna politica è amplificata, tanto più chi ne è l’artefice finisce per credere che sia vera; ma attenzione, avverte la Arendt, “l’ingannatore che inganna sé stesso perde ogni contatto non solo con il proprio pubblico ma anche con il mondo reale” e finisce per “fare scelte più (auto)distruttive, adottare le politiche più assurde, pur non avendo deliberatamente progettato un piano di distruzione”. Perciò è auspicabile che nell’incontro di ieri, Mattarella abbia riportato la premier alla realtà dei fatti.

Distruzione non è parola grossa se pensiamo che in gioco c’è lo stato costituzionale di diritto, di cui la magistratura autonoma e indipendente è un pilastro. Se un attacco c’è stato, è stato “alla” magistratura, e non “della” magistratura, che nelle vicende Santanchè e Delmastro ha agito correttamente, in base alla legge e alla fisiologia del processo penale. Questi sono i fatti. E il gesto di Mattarella è servito anzitutto a rimetterli in ordine. Partendo da qui si comprende meglio la vicinanza espressa dal presidente ai magistrati, di cui hanno dato conto i giornali, ma si coglie anche un altro aspetto di quel gesto fortemente simbolico, quasi un argine istituzionale doveroso, per il garante della Repubblica e della Costituzione, contro il tentativo di delegittimare la magistratura con la menzogna politica.

Da settimane, mesi, una certa narrazione politico-istituzionale-mediatica manipola i fatti, descrive come anomale alcune iniziative giudiziarie e inveisce contro l’Associazione nazionale magistrati che da sempre partecipa al dibattito pubblico sulle riforme della giustizia. Come una palla di neve, questa narrazione rischia di diventare valanga e di travolgere i principi dello stato di diritto. Mattarella fa da barriera a questo tentativo sciagurato di devastazione delle istituzioni, frutto di ignoranza e/o di pregiudizio ideologico. Meloni non è una giurista ma una politica navigata circondata da giuristi, a cominciare dai suoi due ascoltatissimi sottosegretari, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, quest’ultimo magistrato ma con una lunga storia politica nelle file di Alleanza nazionale e poi di Fratelli d’Italia (per inciso, e a proposito di fatti, ci sarebbe da interrogarsi anche sulla narrazione secondo cui le toghe politicizzate sono sempre e solo quelle “rosse” mentre nulla si dice di chi milita in ben altre aree politiche…).

Né Fazzolari né Mantovano, evidentemente, hanno consigliato prudenza alla premier nelle sue esternazioni né tanto meno l’hanno messa in condizione di conoscere i fatti, così come li ha doverosamente ricostruiti Mattarella e anche gran parte della stampa nazionale (si veda il puntuale articolo di ieri su questo giornale di Paolo Colonnello). Così facendo l’hanno esposta al grottesco, come grottesca, e gravissima nelle sue implicazioni istituzionali, era stata la comunicazione delle “fonti” di palazzo Chigi e di via Arenula contro i magistrati. Tra l’altro, l’imputazione coatta nei confronti del sottosegretario Delmastro ha rivelato (se mai ce ne fosse ancora bisogno) un altro fatto, e cioè quanto siano già “separati” giudici e pubblici ministeri, autonomi l’uno dalle valutazioni dell’altro. Non dei burocrati, dai quali Dio ce ne scampi, ma interpreti della legge, della cui applicazione sono chiamati a rispondere. Potere di controllo - come la stampa - non certo incontrollato.

L’inclinazione a trascurare il dato di fatto, e a “fabbricare la verità”, sostituendo, attraverso la menzogna sistematica, un vero e proprio mondo fittizio a quello reale è, spiega Hannah Arendt, una caratteristica dei totalitarismi. Emblematica è infatti la riscrittura della storia che quei regimi hanno fatto. Naturalmente la nostra democrazia, per quanto fragile, non teme questa deriva e tuttavia lo scontro tra verità e politica, che dal ventennio berlusconiano ad oggi si ripropone, non può farci sottovalutare i rischi della menzogna politica.

Forse la verità non sarà mai una virtù politica. Forse, come dice la Arendt, i fatti sgraditi possiedono un’esasperante ostinatezza che può essere scossa soltanto dalle pure e semplici menzogne. Ma il gesto di Mattarella dimostra che fare argine si può e si deve. Occorre un costume, istituzionale, culturale, sociale, orientato al massimo rispetto dei valori di una democrazia costituzionale. In Europa e nel mondo - non ci stanchiamo di ripeterlo - alcune maggioranze politiche insofferenti ai controlli sul proprio operato cercano di svuotare i poteri che quei controlli esercitano, trasformando le democrazie in autocrazie. Perciò tutti abbiamo il dovere di arginare la menzogna politica, per affermare, là dove è possibile e pur con tutti i suoi limiti, la verità dei fatti.