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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2022

Il concorso nel reato associativo si realizza anche tramite attività lecite finalizzate al radicamento della locale cosca. L’estensione del territorio della Capitale pur non consentendo il controllo totale da parte del sodalizio mafioso originario non esclude la capacità criminale della struttura territoriale “locale” della ‘ndrangheta e il controllo di quest’ultima sulla cosiddetta “locale” a maggior ragione se la nuova articolazione ha avuto il beneplacito della “Provincia” come viene definita la mafia calabrese.

E l’agevolazione della cosca si può realizzare in molteplici modi compreso l’acquisto o l’intestazione fittizia di beni e attività leciti. La costruzione di un patrimonio immobiliare o commerciale nell’area di Roma consente certamente di operare una forma di condizionamento dell’economia del luogo. A nulla rileva che le acquisizioni siano formalmente legittime e motivate dal profitto cui aspiravano i venditori delle stesse. Inoltre, non si può sottacere l’indiretto condizionamento agito sugli operatori all’interno della Capitale dalla paura che induce una delle espressioni più temute, per la nota violenza perpetrata come sistema dalla mafia calabrese anche se non specificatamente agita. Infatti, dice la Cassazione, il controllo mafioso si realizza non solo se è nella forma armata, ma anche con l’attrazione di grosse fette della vita economica della città in mano della ‘ndrangheta calabrese.

La Corte di cassazione - con la sentenza n. 47538/2022 - ha confermato la misura cautelare personale a carico di un indagato sospettato di essere la longa manu della mafia calabrese su Roma, realizzata con un’aggressività latente e non espressa con le forme tipiche dell’intimidazione sfrontata con cui agisce nella Regione meridionale di origine. Il ricorrente veniva definito dagli inquirenti come delinquente economico in quanto si prestava alle intestazioni fittizie di beni e attività acquisite con “doti” fornite direttamente dalla casa madre criminale (La Provincia).

Va ovviamente sottolineato che la ricostruzione dei legami del ricorrente con la locale romana e di conseguenza con la ‘ndrangheta deriva dai risultati di numerose intercettazioni. Ciò ha consentito di acclarare i rapporti del ricorrente (apparentemente occupato in attività lecite) con l’esponente di vertice dell’articolazione romana della mafia calabrese e con quest’ultima direttamente.

L’inquinamento del tessuto economico-imprenditoriale della Capitale è un preciso scopo mafioso per realizzare una serie di reati fine alimentati da risorse illecite e da cui consegue un’influenza criminale sulla realtà della città. A nulla rileva la presenza di altri gruppi criminali storicamente già radicati a Roma per dire che i crimini contestati non siano di tipo mafioso. La Cassazione esprime persino un vero e proprio principio di diritto, per individuare il grave reato di associazione mafiosa previsto dall’articolo 416 bis del Codice penale, secondo cui rilevano anche le operazioni formalmente lecite realizzate senza la spendita del metodo mafioso, ma finalizzate ad avvantaggiare il clan di riferimento.