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di Marianna Vicinanza

latinaoggi.eu, 17 marzo 2023

C’è Tonino, il corpo a Rebbibia, ma la mente e il cuore rimaste insieme ai suoi figli, che un giorno ha ricominciato a sorridere perché è riuscito a perdonarsi. C’è Luciano che poteva e doveva farcela, ma sentiva troppo grande il peso del dolore e si è suicidato il giorno del suo 50esimo compleanno.

C’è Federico, 27 anni e laureato, che si occupa di tutti con umiltà, ma non riceve alcuna gratitudine, e sa dire: “Non è colpa loro, è colpa mia, non ci metto abbastanza volontà. A me il carcere sta dando tanto, quando uscirò sarà un uomo diverso”. Speranza e paura, dolore e rassegnazione, ma anche tanto coraggio e una profonda umanità nelle storie raccontate tutte d’un fiato che arrivano come un pugno allo stomaco nell’aula magna del Mattei di Latina.

I ragazzi ascoltano in silenzio, sono lontani da quell’indifferenza a ciò che li circonda di cui spesso li si accusa ingiustamente e dopo la testimonianza di un ex detenuto della nostra provincia, che chiameremo Antonio per rispetto del diritto all’oblio della sua vicenda, si accendono di domande e della voglia di sapere. Segno di una iniziativa, quella di stamattina dal nome ‘Non tutti sanno, la voce dei detenuti di Rebibbia’ a cura di suor Emma Zordan, moderata dal giornalista Roberto Monteforte e organizzata dall’Istituto professionale Einaudi Mattei, che colpisce nel segno mostrando come delle realtà carcerarie si debba parlare per far conoscere una realtà spesso negata dal pregiudizio e dall’indifferenza.

L’incontro con suor Emma - I ragazzi delle classi quarte e quinte hanno incontrato suor Emma Zordan, che da 9 anni opera come volontaria nel carcere di Rebibbia ed è la curatrice del libro “Non tutti sanno che - la voce dei detenuti di Rebibbia” nell’ambito del progetto presentato dalla professoressa Rina Valentini dal nome “Memoria carceraria e ripensamento della pena per la dignità della persona”.

“Nel leggere il libro ho avuto modo di scorgere - ha spiegato ai ragazzi il dirigente scolastico Costantino Forcina - attraverso le testimonianze dei ristretti e dei loro familiari, la forte umanità che si nasconde dietro le sbarre, il pentimento dei reclusi, ma anche il desiderio di riscatto e il diritto al futuro e alla dignità. Le pene, recita l’articolo 27 della nostra Costituzione, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Ma nel mondo del carcere questa finalità è apparentemente irraggiungibile e la rieducazione sembra essere, la semplice giustificazione di una realtà incancellabile, piuttosto che un obiettivo realmente perseguibile. Mi auguro, quindi, che questo incontro aiuti ognuno di noi a crescere, a maturare e a sensibilizzarsi verso una realtà molto spesso ignorata ma parte fondamentale del nostro Stato”.

Monteforte ha spiegato le coordinate di questo viaggio all’interno del carcere frutto di un laboratorio di scrittura creativa attraverso il quale i detenuti si sono raccontati mostrando una realtà diversa, lontana dai preconcetti. Gli stessi che aveva suor Emma il primo giorno che è entrata a Rebibbia. “In quei corridoi lunghi - dice - in quelle celle piccole e sporche dalle finestre basse avevo paura di incontrare i loro sguardi, ma poi giorno dopo giorno ho scoperto la loro realtà così dura e che fa i conti ogni singolo momento con il reato che hanno commesso.

Non tutti sanno quello che soffrono per diventare diversi, per cambiare, eppure sono ragazzi che nonostante la libertà tolta riescono ad essere solidali, si privano delle loro cose per darli ai loro compagni, sono capaci di sorridere nonostante il dolore, che hanno pazienza e resilienza di cui noi spesso non siamo capaci. Il loro lockdown è stato un carcere nel carcere, privati di volontari, psicologi, educatori, spesso inascoltati dalla società, il loro percorso porterà sempre il marchio della detenzione anche una volta che avranno raggiunto la libertà. Io imparo da loro”.

Il suicidio e quelle realtà invisibili - Suor Emma racconta di Luciano, che aveva commesso un delitto. “Non posso dimenticarlo, il suo sguardo mi pesava tanto e anche la sua impassibilità. A un certo punto ha cominciato ad aiutare gli altri, era un punto di riferimento e aveva pochi anni da scontare. Si era iscritto all’ultimo colloquio prima di uscire, ma a quell’appuntamento non è arrivato, si è impiccato nella sua cella”. Il suicidio è una delle note dolenti del carcere, Monteforte spiega che lo scorso anno ci sono stati 84 suicidi negli istituti di pena in Italia, persone affidate allo Stato che si sono tolte la vita per la disperazione e per la solitudine, e che quest’anno da gennaio a marzo i suicidi sono già dieci.

La storia di Antonio - Infine nell’aula magna del Mattei la testimonianza più toccante è quella di Antonio, un ex detenuto di Rebibbia, finito dentro per tre anni per una rapina. “Ero laureato, avevo due figli e non trovavo lavoro, ho perso la testa - racconta - sono entrato in carcere ed è stata durissima, ho trovato la forza di reagire per i miei figli e per mia moglie.

A Rebibbia ho trovato tanta umanità e tanta fratellanza, e l’impegno come lavorante di sezione mi ha salvato. Mi sono messo a disposizione dei disabili e di chi aveva problemi, ma il pensiero di fuori mi mangiava, di mia moglie e del rapporto con mio padre, che non riusciva più a guardarmi. Piano piano mi sono riscattato, la libertà non me la ridà nessuno, e anche oggi è difficile trovare lavoro con questo marchio addosso, ma io vado avanti e non mi arrendo”.

“A voi ragazzi dico - spiega ancora Antonio - di stare attenti alle dipendenze perché vi rovinano la vostra vita e quella di chi vi è vicino, e imparate a perdonarvi e a parlare dei vostri problemi. Chiedere aiuto non significa essere deboli”. Non tutti sanno che il carcere può essere un luogo di arricchimento dell’anima. Ma, oggi, tanti ragazzi dell’Einaudi Mattei lo hanno imparato.