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di Salvo Palazzolo

La Repubblica, 16 settembre 2024

“Chiediamo la condanna dell’imputato Matteo Salvini a sei anni per difendere i confini del diritto”, ha detto sabato pomeriggio la procuratrice aggiunta Marzia Sabella. E quando i riflettori si sono spenti nella grande aula del tribunale, i tre pubblici ministeri hanno consegnato una memoria scritta al collegio giudicante presieduto da Roberto Murgia: 237 pagine che ripercorrono le ragioni dell’accusa. “L’imputato è responsabile di sequestro di persona, oltreché di rifiuto di atti d’ufficio”, hanno ribadito i pm Geri Ferrara e Giorgia Righi. Ed ecco i “confini del diritto”, che nella drammatica estate del 2019 l’allora ministro dell’Interno superò “con una serie di provvedimenti illegittimi - argomentano i magistrati - indubbiamente a vantaggio della propria immagine di politico intransigente nella gestione del fenomeno migratorio”. Le legge piegata alla politica.

È importante la “memoria conclusionale” come l’hanno chiamata i pubblici ministeri con un termine tecnico, non è solo materia per giuristi, è una lezione di educazione civica, è un serrato ragionamento sulle ragioni del diritto contrapposte a quelle dei tweet. Scrive la procura: “La condotta tipica del reato di sequestro di persona è rappresentata dal compimento di atti che privano taluno della propria libertà personale (…) atti che possono avere natura commissiva o anche omissiva, purché la condotta del soggetto agente sia illegittima”. Ecco il punto di partenza dell’accusa: il blocco della nave era illegittimo perché “sul ministro dell’Interno gravava l’obbligo di indicare il place of safety, il porto sicuro, alla nave della Ong Open Arms che aveva soccorso i migranti”. La procura non ha dubbi, ma l’ufficio inquirente presieduto da Maurizio de Lucia non smette di argomentare, di indagare fra tutte le ricostruzioni alternative, innanzitutto la tesi difensiva, che parla di “atto politico”: “È necessario rispondere a una serie di quesiti - scrivono i pm - per verificare se sussistessero elementi, sia di fatto che di diritto, in grado di esonerare il ministro dell’Interno dall’obbligo di rilasciare il place of safety. O di ritardarlo”. Per la procura, bisognava accogliere subito a terra quella nave con 147 migranti. “Non c’era alcun rischio di terroristi a bordo”, precisano i magistrati, “non c’era da parte dell’Ong un’attività di trasferimento illegale di migranti”. E ancora: “Non aveva senso mandare la nave in Spagna, i migranti erano stremati per tanti giorni di navigazione”. I pm contestano alla radice la legittimità del decreto che vietava l’ingresso dell’Open Arms: “Non si poteva impedire la conclusione di eventi di soccorso”. Un altro passaggio: “Il ministro dell’Interno ben conosceva la situazione di pericolo a bordo”. La memoria cita il tribunale dei ministri: “Salvini voleva proseguire la politica dei porti chiusi anche contro il diritto”. E aggiunge: “Quel decreto, fondato già su una norma traballante, giammai poteva svincolare lo Stato italiano dalle proprie responsabilità previste dalle leggi del mare e da quelle, anche nazionali, in tema di accoglienza dei minori”.

Dall’elemento oggettivo a quello soggettivo del reato, come lo chiamano i giuristi. La procura contesta a Salvini di essere stato “consapevole che il suo non provvedere perpetuava, sin da subito, un impietoso e illegittimo stato di restrizione di 147 persone”. Nella memoria si parla di “inerzia dell’imputato, che non ha fatto altro che incidere, aggravandolo, sullo stato di privazione della libertà personale, sotto il duplice profilo della possibilità del libero movimento sulla nave e della possibilità di libero movimento fuori dal natante”. Eccolo, il cuore dell’accusa, ruota attorno alla “volontarietà dell’illegittimità degli atti commessi”: per i pm “è dimostrata dal consapevole e a lui noto caos istituzionale, interno e internazionale, che si generò”. La conclusione della procura è troncante: “Anche i più alti obiettivi, seppur governativi, devono essere perseguiti attraverso le leggi vigenti o attraverso norme all’uopo promulgate, ma mai con strumenti illeciti”. Alla fine, i pm bacchettano pure i tweet compulsivi del ministro: “L’imputato nel condurre la propria politica dei porti chiusi aveva adottato una posizione di intransigenza che lo portava, non solo ad affermazioni drastiche sui social incompatibili rispetto ai suoi doveri amministrativi di rilasciare i place of safety, ma a ritenere di potere stravolgere le regole”. Così, dicono i pubblici ministeri di Palermo, “abbiamo difeso i confini del diritto”.