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di Chiara Sgreccia

L’Espresso, 31 luglio 2022

Le norme per garantire la sicurezza sul lavoro, anche a elevate temperature, ci sono. Il punto è rispettarle. C’è voluta una nota di Inps e Inail per ricordare alle aziende di ricorrere alla cassa integrazione quando si superano i 35 gradi. Ma la norma c’era già dal 2016.

Sviene. Batte la testa e muore un operaio di 61 anni. A Rivoli, in provincia di Torino, all’interno della fabbrica Dana Graziano, lo scorso 21 luglio. È successo molto probabilmente per il caldo e non è l’unico caso.

Lunedì un imprenditore di Castelfranco Emilia, Modena, si è accasciato davanti agli occhi degli operai: era sul tetto di una villetta per effettuare interventi di efficientamento energetico, con una temperatura di 38 gradi. Sabato scorso un lavoratore di 47 anni ha avuto un malore ed è morto mentre lavava i piatti in un albergo di Diano Marina, in provincia di Imperia. Il 19 luglio un operaio di cinquant’anni ha avuto un infarto sul tetto di un capannone nel cantiere Ferretti a La Spezia. Giorni prima era morto un bracciante di 20 anni che lavorava in una serra di una azienda agricola del Casertano, il 6 luglio un altro di 59 anni in un agrumeto nella provincia di Cosenza.

“Sono molti i lavoratori e le lavoratrici la cui morte viene liquidata come “morte per il caldo”. Come se chi lavora esposto ad alte temperature, in ambienti non adeguatamente termoregolati oppure all’aperto nelle ore più calde, senza protezioni adatte, senza poter bere o ripararsi dal sole, dovesse mettere in conto che la propria vita è a rischio” commenta Graziella Silipo, responsabile del dipartimento salute e sicurezza sul lavoro di Cgil Piemonte.

“Ma ovviamente non è così. Perché le norme per tutelare i lavoratori esistono: ci sono leggi, raccomandazioni e linee guida. Il problema è che manca la garanzia che vengano rispettate le condizioni di salute e di sicurezza”.

C’è la possibilità per le aziende di ricorrere alla cassa integrazione in caso di temperature superiori ai 35 gradi, anche quando sono percepiti e non reali. Grazie alla causale “eventi meteo” che può essere invocata per sospendere o ridurre l’attività lavorativa a causa delle temperature elevate. Soprattutto per i lavoratori più a rischio. La possibilità era prevista da tempo, dalla circolare Inps n.139 del 2016, ma c’è stata la necessità di una nota congiunta di Inps e Inail per ricordarlo. Anche l’Ispettorato nazionale del lavoro oggi ha pubblicato un memo: una circolare pensata per tutelare i lavoratori dai rischi legati ai danni da calore che richiama contenuti già divulgati negli anni passati, per rendere più incisiva la prevenzione.

C’è il Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro che prevede: “Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione”.

C’è un Decalogo elaborato dall’Inail che informa i datori di lavoro sulle modalità attraverso cui attivare la prevenzione per le patologie da calore. Si parla di riorganizzazione dei turni di lavoro, di favorire le pause e rendere accessibili le aree ombreggiate. Di pensare a strategie di prevenzione e protezioni individuali per i lavoratori, di designare un responsabile che garantisca l’adeguata applicazione delle norme.

E infine c’è il Documento di valutazione dei rischi, il prospetto che racchiude rischi e misure di prevenzione per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, che ogni azienda con almeno un dipendente è obbligata a redigere. In questo “il datore di lavoro deve tener conto dei gruppi di lavoratrici e lavoratori per età, genere, provenienza, visto che sono fattori che possono accrescere il rischio legato ai danni di calore”, spiega Silipo.

Come aveva dichiarato a La Repubblica qualche giorno fa il ricercatore del Cnr Marco Morabito, che conduce il progetto Worklimate per individuare l’impatto dello stress termico ambientale sulla salute e sulla produttività dei lavoratori, “ogni anno l’Inail stima che siano oltre 4 mila gli infortuni collegati al caldo”. I più esposti al rischio sono gli operai addetti al trasporto e alla produzione di materiali, gli addetti ai macchinari e agli utensili e quelli che lavorano all’aperto. Come i manovratori, gli installatori, gli asfaltatori, i cantonieri stradali, chi lavora nell’edilizia, gli agricoltori e gli impiegati nel settore dell’elettricità, gas e acqua.

Il caldo può facilitare la perdita di attenzione, favorire l’insorgere di malori e può causare minore prontezza nel reagire agli imprevisti, accrescendo il rischio di infortuni. “Ma non si muore per il caldo. Si muore di sfruttamento, di ricatti, di precarietà, di massimizzazione di profitti e minimizzazione di costi ed investimenti, di incuria, di sottovalutazione e non valutazione dei rischi. Si muore di mancata prevenzione”, conclude la responsabile del dipartimento salute e sicurezza sul lavoro di Cgil Piemonte.