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di Mirko Aufiero

nxwss.com, 27 ottobre 2023

Dalle cause del sovraffollamento delle carceri alle possibili soluzioni: ne abbiamo parlato con Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone. 56mila detenuti per 51mila posti, 85 suicidi nel 2022, tasso di sovraffollamento ufficiale del 110,6%. Questi alcuni dei numeri sulle carceri italiane pubblicati dall’ultimo rapporto di Antigone, associazione nata negli anni ottanta che si occupa di raccogliere e divulgare informazioni sulla realtà carceraria italiana.

Quella del carcere è una grande questione sociale che il nostro Paese si trascina dietro da decenni, incapace di risolvere i problemi strutturali che ne minano le funzioni più essenziali, in primo luogo quella rieducativa. Spesso lontani dalle penne dei giornalisti e dai palchi dei comizi politici, ma anche dalle discussioni a tavola in famiglia, le carceri sono una realtà tanto isolata dal dibattito pubblico quanto lo sono i detenuti dal resto della società.

Sono passati dieci anni dalla condanna della Corte europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia del 2013 per il sovraffollamento carcerario; da allora qualcosa è stato fatto, sono state attuate riforme per diminuire il numero di detenuti e per ampliare l’accesso alle misure alternative alla detenzione, eppure, “il sistema si è riadagiato sui propri errori”.

Ciò che non funziona nelle carceri italiane è un tema molto lungo e complesso; ne abbiamo parlato con Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone. Ci ha spiegato come si valuta un carcere, qual è lo stato attuale del sistema carcerario, e cosa è possibile fare se si affronta il tema lasciando da parte gli “scontri elettorali”.

Coordinatrice nazionale di Antigone, Susanna Marietti ha svolto per anni ricerca in filosofia, conduce una trasmissione radiofonica settimanale con storie di musica e di carcere, Jailhouse Rock, ed è autrice di diversi articoli e libri sul carcere e la pena, tra cui “Il carcere spiegato ai ragazzi”. Il punto da cui la nostra conversazione è partita è stato il processo con cui Antigone valuta le condizioni delle carceri. Abbiamo chiesto alla dottoressa Marietti quali sono gli strumenti a disposizione della sua associazione per compiere tali valutazioni e quali sono i parametri che gli istituti penitenziari italiani devono rispettare secondo le norme italiane e internazionali.

“Dal 1998 siamo autorizzati a visitare tutte le carceri per adulti e da dieci anni dopo, ovvero dal 2008, anche quelle per minori. Le carceri devono rispettare norme italiane ed europee, in particolare del Consiglio d’Europa, ma anche le Mandela rules del 2015, ossia norme internazionali delle Nazioni Unite. Quando andiamo in visita portiamo con noi una griglia di raccolta di dati quantitativi e qualitativi. Sul sito del nostro osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia trovate schede relative a ogni istituto penitenziario italiano. Tutte queste schede seguono la stessa struttura, e sono divise in varie sezioni”.

Come spiega Marietti, ogni scheda presenta diverse sezioni, ognuna delle quali fa riferimento ad un diverso aspetto del carcere. Una di queste riguarda la struttura fisica dell’edificio, e prende in considerazione parametri come lo stato della manutenzione, l’ampiezza degli spazi e la qualità igienica. “Un’altra sezione riguarda la presenza dei detenuti: posti letto, quante persone lavorano lì, etc. Poi c’è la sanità: presenza di un medico 24 ore, possibilità di fare visite specialistiche, etc. Fondamentali sono quelle relative alle attività che i detenuti possono svolgere, ai fini di una serie di reintegrazione sociale, che non sono le attività a volte inutili organizzate in carcere, ma il lavoro, la scuola, la possibilità di un’istruzione superiore, il teatro”.

Gli strumenti usati da Antigone per raccogliere dati sono molteplici. Tra questi troviamo l’osservazione diretta e il dialogo con gli operatori che vivono in carcere (direttori, educatori, poliziotti penitenziari, medici, etc.).

Questione carceri minorili - La nostra seconda domanda ha riguardato le carceri minorili; abbiamo chiesto in che misura questi criteri di valutazione variano se si analizza un carcere minorile, quali sono le principali differenze tra gli istituti penitenziari per adulti e quelli per minori, e con quale frequenza ci si rivolge a misure alternative al carcere minorile come le comunità. “Intanto sono differenziati dai codici penali. Nel 1988 sono entrati in vigore due codici penali distinti per minori e per adulti. Il codice di procedura penale minorile è riuscito a residualizzare la detenzione. Oggi abbiamo più di 14mila ragazzi e ragazze in carico alla giustizia minorile, e di questi poco più di 400 sono in carcere. La prima grande differenza la fanno i numeri. Un conto è un sistema che deve farsi carico di quasi 60mila persone come quello degli adulti, e un conto e un sistema che deve farsi carico di 400 persone.

Quando noi andiamo in visita in carcere minorile troviamo una conoscenza più o meno personalizzata degli operatori verso i ragazzi. Li chiamano per nome, ne conoscono le singole storie e sono in grado di preparare per loro un piano trattamentale di tipo individualizzato calato nelle esigenze di ogni singolo ragazzo o ragazza, cosa che nel sistema degli adulti si è più o meno persa. Gli adulti sono come corpi ammassati, poco più che numeri diciamo”.

In Italia, come sottolinea Marinetti, negli istituti penitenziari per minori troviamo poche decine di ragazzi. Quello che ne ospita di più è il carcere minorile di Nisida (Na), dove sono presenti 55 minori. I parametri di valutazione cambiano perché “per i minori deve esserci una attenzione specifica per la personalità e i bisogni di un ragazzo in evoluzione, primi tra tutti quello scolastico ed educativo”. Tutto sommato, la giustizia minorile in Italia ha funzionato - non è un caso che la direttiva europea sui minori autori di reato l’abbia scritta l’Italia codificando il proprio modello - anche per il ruolo svolto dalle comunità.

“È un modello in cui il ruolo delle comunità è abbastanza cruciale perché già dal codice di procedura penale è previsto il collocamento in comunità come misura precauzionale. Quindi non c’è bisogno di dare la custodia cautelare e finire in carcere - nel sistema per adulti tante volte sentiamo che anche se si potrebbe finire agli arresti domiciliari, si finisce in carcere in mancanza di un domicilio adeguato, mentre nel sistema per minori ciò non può accadere perché ci sono le comunità.

In Italia le comunità sono oltre 600, mentre le carceri minorili sono 17. Esse ospitano sia ragazzi dell’area penale che dell’area civile, e questo è un bene perché non abbiamo creato il “ghetto” dei ragazzi criminali. Sono mischiati con chi è lì per una adozione o per altri motivi”.

Bene le carceri minorili, meno quelli per adulti - Nella nostra conversazione con Susanna Marietti abbiamo anche cercato di delineare un quadro delle cause delle carenze del sistema penale per adulti. Se la giustizia minorile ha fatto riscontrare risultati positivi, diverso è il bilancio per quella degli adulti. “Questo è un discorso molto lungo che non si ferma né al carcere né al sistema penale, ma investe anche il ruolo che il sistema penale gioca nella società. Da troppo tempo il sistema penale è stato terreno di scontri elettorali, da troppo tempo c’è questa abitudine di creare nella cittadinanza delle paure in modo irrispettosa rispetto ai dati di fatto - per esempio riguardo la presunta emergenza della criminalità minorile alla quale si è risposto col decreto Caivano - perché c’è stato un fatto di cronaca drammatico.

Certamente a Caivano un caso del genere c’è stato, ma se andiamo a vedere le statistiche sulla criminalità minorile degli ultimi 10 anni vediamo che non c’è una emergenza. Questa abitudine di creare una emergenza, di creare un nemico e di offrire ai cittadini soluzioni per combattere queste presunte emergenze - immigrati, baby gang - ha fatto sì che il sistema diventasse un terreno di scontro e ha creato un aumento a dismisura dell’uso dello strumento penale. Tutto viene risolto minacciando la galera, aumentando le pene e le fattispecie di reato. Ciò porta all’esplosione numerica alla quale abbiamo assistito negli ultimi 30 anni”.

La soluzione sarebbe dunque quella di incarcerare meno. Per farlo, spiega Marietti, dovrebbero essere messe in campo “politiche preventive, politiche sociali intese in senso ampio, politiche del lavoro, per fare in modo che la gente abbia un lavoro e non debba delinquere, politiche sanitarie. Si pensi all’ambito delle tossicodipendenze, ha senso gestirle con politiche penali?”. “Nella costituzione si parla di pene rieducative, non di carcere; quindi, si potrebbe pensare a pene alternative in modo da lasciare nel carcere veramente un ristretto nucleo. A quel punto, quel nucleo ristretto riusciresti a gestirlo come gestisci i minori, con percorsi individuali e offrendo strumenti di reintegrazione sociale”.

La “War on drugs” e il ruolo della politica - Da troppi anni si parla di mettere in atto soluzioni come le misure alternative alla detenzione o di modificare la legislazione sulle droghe; perché allora non vengono adottate? È solo colpa della politica che utilizza la questione delle droghe come strumento di propaganda o ci sono delle difficoltà oggettive nel mettere in atto tali soluzioni? “La war on drugs ha investito tutto il mondo ed è durata 30 anni. Dopo di che essa ha fallito, ne hanno preso atto le stesse Nazioni Unite e molti Stati come alcuni degli Stati Uniti e altri. Noi arriviamo come al solito in ritardo; c’è da dire che questa non è la fase storica giusta per andare a guardare a possibilità alternative di gestione delle droghe perché culturalmente non c’è questa possibilità, col Governo attuale che è molto rigido sul tema. Le misure alternative non sono poco usate, fuori dal carcere in misure alternative c’è il doppio delle persone che sono in carcere. Se consideriamo anche la messa alla prova arriviamo a circa 120mila, e se consideriamo anche i liberi sospesi abbiamo numeri enormi. Negli anni l’area penale esterna è cresciuta, ma non a scapito del carcere; non è andata a togliere numeri al carcere, ma si è sommata ad esso, sono cresciuti insieme perché è cresciuta l’area di uso del penale in modo immotivato. Le misure alternative se si usassero in un penale ristretto potrebbero andare a svuotare il carcere”.

Il carcere tra media e discorso politico - Spesso il carcere viene affrontato dalla stampa in maniera marginale e in particolar modo arriva sulle prime pagine in corrispondenza di particolari eventi di cronaca. Qual è il modo in cui i media e la politica trattano questo argomento, e come viene percepita la questione dall’opinione pubblica? “Il carcere è un tema di cui si parla poco e male perché è scomodo ed è un grande rimosso della società. Se ne parla in corrispondenza di casi di cronaca eclatanti senza però spiegare esattamente cosa è il carcere; cerchiamo di farlo noi con i nostri rapporti, e non è un caso che Antigone ha sempre cercato linguaggi variegati per parlarne all’opinione pubblica, in quanto siamo consapevoli che è necessario parlarne a tanti livelli. La politica il carcere lo tratta in modo semplificato e semplicistica, ma ciò non avviene solo carcere, ma con tutto il sistema penale. Dobbiamo interrogarci sul ruolo che il sistema penale gioca nello Stato italiano. Beccaria ci insegna quale deve essere il ruolo del carcere nelle società democratiche, ovvero un ruolo minimo, cioè nessuno di noi è disposto a mettere più del minimo necessario della nostra libertà nel paniere comune per garantire l’ordine e la sicurezza. Non deve espandersi a punire qualsiasi comportamento, ma solo quelli più gravi. Ci sono altri strumenti per garantire la convivenza. La politica usa in maniera distorta il sistema penale, e di conseguenza il carcere; speriamo però che con una buona comunicazione sia possibile sensibilizzare l’opinione pubblica”.