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di Danilo Paolini

Avvenire, 29 luglio 2022

Basta con le citazioni di Cesare Beccaria e dell’articolo 27 della Costituzione: in un’Italia dalla memoria cortissima, le parole (anche scritte) le porta via il primo refolo di vento. Basta parole, dunque, sulle condizioni delle carceri italiane, perché parlano, anzi urlano, i fatti: il sovraffollamento medio delle celle è del 112% (ma in alcuni istituti supera il 150%), i 38 suicidi di detenuti registrati da gennaio a oggi fanno segnare un tragico record, il numero degli ergastolani è raddoppiato negli ultimi 20 anni (utile promemoria per i tanti convinti che “in Italia in galera non va nessuno”) e abbiamo 25 bambini, venticinque, dietro le sbarre con le loro mamme.

Ecco, dietro le sbarre e dietro ciascuno di questi numeri-fatti, resi pubblici ieri da Antigone, non ci sono parole, vane teorie securitarie, slanci filantropici buoni per fare bella figura in qualche consesso d’illuminati. Ci sono donne e uomini che hanno commesso errori anche gravissimi, che hanno compiuto il male, oppure che sono finiti dentro per sbaglio o per la propria fragilità.

Non importa, ciascuno di loro è una persona e come tale va trattata, nel rispetto di una dignità che viene prima di qualsiasi reato. Lo chiediamo ancora una volta a quelli del “marciscano in prigione” e del “buttiamo via la chiave”: come può un essere umano, dopo aver trascorso alcuni mesi, anni o decenni, in una stanza con altri 4 o 5, senza spazio sufficiente, servizi igienici ridotti al minimo e in molti casi senza alcuna riservatezza, uscire dal carcere migliore di quando vi è entrato? Come può essere recuperato, reinserito nella società delle persone ‘per bene’?

Non meravigliamoci del massiccio uso di psicofarmaci tra i detenuti, aumentato in seguito alla pur necessarie restrizioni anti-Covid che hanno comportato, per un lungo periodo, il divieto di visite da parte dei familiari. Pensiamo piuttosto al caldo pesante di questa estate, che ci sta opprimendo ormai da settimane, e cerchiamo di immaginare come si possa stare ‘dentro’. Citiamo ancora dal rapporto estivo di Antigone: nel 58% delle celle non c’è una doccia, nonostante il regolamento penitenziario del 2000 (un autentico ‘libro dei sogni’ rimasto in larga parte lettera morta) lo prevedesse; nel 44% le schermature alle finestre impediscono il passaggio dell’aria. Restare indifferenti è peccare di disumanità.

Eppure per un’emergenza annosa come quella penitenziaria, il rischio è proprio quello di diventare una drammatica ‘normalità’, quasi fosse ineluttabile tollerare un simile scempio di civiltà. Rischio che si moltiplica in periodi di campagna elettorale come quello attuale, durante i quali ci si tiene in genere lontani da temi ‘scomodi’ come questo per timore di perdere voti o, peggio, si promette ancora più carcere per acchiapparne di nuovi. Senza contare che l’affondamento del governo Draghi e la conseguente interruzione traumatica della legislatura mette in pericolo i provvedimenti che erano in cantiere.

Difficilmente, infatti, vedremo l’approvazione definitiva della ‘legge Siani’ che prevede la collocazione delle mamme detenute e dei loro bambini in apposite case-famiglia. Mentre l’esecutivo dimissionario potrebbe ancora dare attuazione alle misure deflattive (messa alla prova, pene alternative alla detenzione, giustizia riparativa, non punibilità per particolare tenuità del fatto) contenute nella legge delega 134 del 2021. Sarebbe ancora poco, ma almeno sarebbe qualcosa.