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di Susanna Marietti*

Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2023

Due donne, Susan e Azzurra, sono morte a distanza di un giorno l’una dall’altra nel carcere di Torino. La prima si è lasciata morire, la seconda si è tolta la vita deliberatamente. Qualche settimana fa, il 28 di giugno, era stata Graziana a mettersi un cappio attorno al collo. Storie molto diverse tra loro, accomunate dalla distrazione che il carcere ha sempre più per le persone che rinchiude e, in misura ancora maggiore, per le donne.

Le donne in carcere sono una piccola percentuale, poco più del 4% della popolazione detenuta. Una cifra che si mantiene stabile da decenni. La media mondiale è circa del 9%, più alta di quella italiana ma sempre nettamente minoritaria. Inoltre, sono tendenzialmente in carcere con pene brevi, legate a piccoli reati dallo scarso allarme sociale. Bisognerebbe interrogarsi a fondo sul perché le donne delinquano tanto meno degli uomini, superando le spiegazioni parziali e insoddisfacenti che storicamente sono state proposte. Probabilmente capiremmo molte cose, non del carcere o delle vicende criminali, ma di noi stessi e della società che abitiamo.

Le donne in carcere sono poche, e quindi si tende a dimenticarle. Le carceri femminili sul territorio nazionale sono solo quattro: a Roma, a Venezia, a Pozzuoli e a Trani. Tutte insieme ospitano circa un quarto delle donne detenute in Italia. Gli altri tre quarti sono sparsi nelle tante sezioni femminili all’interno di carceri a grande prevalenza maschile. Sezioni che possono arrivare a ospitare più di cento donne, come accade a Milano Bollate e appunto a Torino, ma anche solo poche decine o addirittura due o tre (a Mantova, a Barcellona Pozzo di Gotto). Per queste donne, la coperta è quasi sempre troppo corta. Le sempre scarse risorse economiche, di personale, di attività, di volontariato di cui la direzione si trova a disporre verranno inevitabilmente convogliate verso la parte del carcere che ospita centinaia di uomini, non verso quella dove le poche donne si ritrovano a oziare dimenticate. Ma sbagliato sarebbe chiudere queste sezioni e allontanare le donne dai loro riferimenti territoriali, dalle loro famiglie, dai loro figli.

Scegliemmo simbolicamente lo scorso 8 di marzo per presentare al Senato “Dalla parte di Antigone. Primo rapporto sulle donne detenute in Italia”. Il racconto di un grande viaggio collettivo effettuato nei mesi precedenti, lungo il quale visitammo tutte le strutture che ospitano donne detenute in Italia: le carceri femminili, le sezioni, gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, il carcere e le sezioni femminili minorili, le sezioni che ospitano detenute trans. Entrammo ovunque, osservammo, leggemmo il disagio, cercammo di analizzare le varie situazioni sotto i tanti aspetti della vita detentiva: la solitudine, la tutela della salute, il rapporto con il mondo esterno, il bisogno di lavoro, di istruzione e di formazione professionale, la violenza di genere.

*Coordinatrice dell’Associazione Antigone