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di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 9 giugno 2023

La sera del 9 novembre scorso, mentre le telecamere della Questura riprendevano le violenze sul fermato Amiri Tororo (che nel cosiddetto “acquario” dava in escandescenze e insultava i poliziotti), i microfoni registravano le frasi pronunciate dagli agenti ora accusati di tortura e altri reati.

“Maledetto marocchino di merda...”. “Com’è che Roberto (uno degli arrestati, ndr) non l’ha ammazzato?”. “Sì che l’ammazza (ride)”.

Interviene Roberto: “Lo buttiamo là alla casa abbandonata, prende una scarpata nei coglioni!”. “Mi raccomando Roby, quelle che non gli hai dato prima dagliele dopo”. “Gli è andata pure bene che non gli ho fatto la doccia col secchio d’acqua (ride)”. E poco dopo ancora Roberto spiega: “Io adesso ho imparato a dare le cinquine più piano”.

Tra i presenti c’era un’agente donna - anche lei indagata per il reato di tortura, della quale i pubblici ministeri hanno chiesto l’intedizione dall’impiego - che rideva e insultava il fermato minacciandolo con lo spray urticante: “Giuro che ti spruzzo adesso”, “Dai raga, vi prego, un’altra spruzzata!”, “Tagliatelo se ti fa male il cazzo”. Per i pm rappresentano la prova di una “palese adesione e non irrilevante contributo concorsuale alla commissione dell’azione delittuosa, oltreché l’accanimento mostrato nei confronti della persona offesa”.

Sono ulteriori dettagli dell’inchiesta che ha condotto cinque poliziotti del Reparto Volanti agli arresti domiciliari, e all’iscrizione di altri 17 nel registro degli indagati; per loro pendono le richieste di misure interdittive sulle quali dovrà pronunciarsi il giudice, probabilmente dopo gli interrogatori previsti per la prossima settimana. I nuovi particolari emergono dagli atti allegati all’inchiesta, insieme ai fotogrammi dei filmati degli impianti di sorveglianza interni alla Questura, ora a disposizione degli avvocati difensori. Un insieme di indizi da cui si deduce, secondo la Procura e il gip, che gli inquisiti “hanno inteso l’appartenenza alla Polizia di Stato come occasione per tenere condotte illecite”, insieme alla “consuetudine nell’utilizzo ingiustificato di violenza fisica su soggetti sottoposti a controllo o fermo”.

Dall’estate 2022 e fino a dicembre, la Squadra mobile veronese ha indagato sui loro colleghi raccogliendo le prove delle violenze e degli altri reati contestati, primo fra tutti la falsificazione dei verbali. Ma nell’ultima fase degli accertamenti, i poliziotti sotto osservazione si sono accorti di avere gli occhi addosso.

Provando a prendere precauzioni, per rendere più difficile il lavoro degli investigatori. Hanno cominciato a cercare telecamere e microspie nelle stanze in cui s’incontravano, a volte salendo su seggiole e scrivanie per vedere se fossero nascosti nei lampadari; tutto documentato nelle informative della Mobile. Come l’incontro in Questura del 5 dicembre tra l’assistente capo (uno degli arrestati) e il vice-ispettore, indagato: “Quest’ultimo, evidentemente temendo di essere intercettato, prende un foglietto e dopo aver manoscritto qualcosa lo mostra al collega, il quale commenta chiedendogli contezza circa il contenuto di quanto appena letto. A questo punto riprende il foglietto, lo strappa e lo getta nel cestino sito nel corridoio, quindi fa cenno al collega di seguirlo e i due escono dall’ufficio”. Forse temendo ciò che sarebbe stato scoperto. Un mese prima alcuni agenti commentavano il cattivo stato di salute di un fermato facendo riferimenti scherzosi a Stefano Cucchi.

L’8 novembre, altri tre sono stati registrati mentre “parlano del fatto che l’ex dirigente dell’Ufficio Volanti, nonostante i vari problemi che coinvolgono gli operatori del Nucleo, dei quali lei era a conoscenza, è stata trasferita al momento giusto senza alcuna ripercussione”. In un’intercettazione del 27 novembre è citato un sovrintendente (ora indagato) che “nonostante il periodo in cui il loro Ufficio è attenzionato, ha picchiato un soggetto e ne ha denunciati altri due”.