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di Alessandro Bergonzoni

La Repubblica, 4 agosto 2024

Chi si ricorderà dei tanti, troppi morti nelle nostre carceri? In Stato di abbandono? Parchi quartieri case monumenti? É tanto il patrimonio che tra il Fai e l’Unesco si proverà a salvare con l’aiuto delle Regioni e della ragione, tra i beni culturali e la salvaguardia che enti e privati cittadini metteranno in pratica nel Bel Paese, con finanziamenti che vanno dalle due Torri di Bologna fino a borghi sperduti che diventeranno patrimonio dell’umanità (ma quale? Non borgo, ma umanità?).

La via Appia? La via della seta o quella della sete, che vede carcasse di rifuggenti come cibo per avvoltoi? Il tema dei beni culturali è sentitissimo non è divisivo anzi del tutto inclusivo. Le stesse orecchie non riescono però a sentire, se non flebilmente o con orecchie da mercante (cosa ci guadagno a udire?), ciò che da anni è esploso ed ora ormai fa strage nelle nostre galere e non solo. Lo osservano, ma non con l’occhio di riguardo né di favore, forse addirittura solo con la sua coda.

Troppo rinclusivo? Eppure una cosa non “escluderebbe” l’altra: i soldi ci sono o possono essere spalmati e mirati per un “nuovo” piano carceri, facendo di esse finalmente un patrimonio ora dell’inumanità poi si spera dell’umanità…Prima, dopo, durante l’indulto, una amnistia, con svuota carceri (accompagnato necessariamente con lavoro in uscita), pene alternative, case per chi ha finito di scontare il proprio debito, trovando altre destinazioni per tossicodipendenti e per malati psichici, con riduzione di pena per anziani terminali.

Scegliamo e perfezioniamo come trovare le (in)finite possibilità che la politica conosce benissimo dai “primi Pannella” ai giorni nostri.Ma i problemi sono i giorni “loro”, non i nostri, che si dovrebbero unire in una Olimpiade sociale che pacifichi e renda benessere a chi si è “allenato” e preparato da anni nelle palestre dei Tormenti, alla vessazione, alla tortura, fino a morire di resistenza atletico sovrumana. Le medaglie d’horror le stanno vincendo in cento l’anno, qualificandosi nelle parti alte della classifica dei suicidi. Il medagliere in queste “carceriadi” ogni giorno dà grandi risultati: il Marocco batte la Nigeria, l’Italia pareggia con l’Egitto, la Tunisia e la Libia a pari demerito, i CT mettono in campo anche le riserve, guardie penitenziarie che pure loro cadono sul campo tipo le partite di scapoli e orfani di tutte le età e ammogliati, con figli a carico…Ma il carico più pesante è quello del clima negli spogliatoi: 40 gradi senza aria e luce, poca acqua, bagni di folla-follia quando non diventano veri e propri bagni di sangue, costretti a defecare nello stesso bugliolo.

Il comitato “Olimpico delle carceriadi” si sta interessando al problema da tempo ma con scarsi risultati: prima vengono i letti di cartone, i materassi di plastica e il cibo scadente con cui i nostri beniamini di ogni specialità hanno a che fare; che passione, che compassione, che sacrifici… Chissà quando questi concetti avranno a che fare anche con altro o col martirio…Intanto barche piene di atleti olimpici “migrano” dal loro paese fino a Parigi, riescono ad attraccare felicemente al Trocadero senza difficoltà o marine straniere che li attacchino o sparino loro.

Fateci caso, tutto si svolge con una simmetria surreale e non solo metaforica: le bandiere di ogni nazione accolte dai tifosi plaudenti superano di gran lunga quelle delle ONG che arrivano da ogni parte nel Mediterraneo ma non possono accompagnarli tutti in un porto sicuro: il numero dei partecipanti alle varie discipline, come il “non nuoto sincronizzato con tutte le altre vittime” in stile morto, non sono contemplate, invece le gare di motovedette speronanti o passive sono ammesse, ma non quelle di gommoni (che mancanza di disciplina...).

Cosa c’entra tutto questo con le rivolte nei penitenziari, cosa c’entra con le gare? C’entra con il “collegare”! Ecco la parola “le-gare” che spiegherebbe tanto: non accostiamo ne-gare, anne-gare, rele-gare, pie-gare e pre-gare, al concetto che ne è indissolubilmente legato. Perché niente é separato, come i cessi delle celle, nulla è diviso e c’entra con l’incapacità assoluta di provare a conoscere, a immedesimarsi, di chi decide, fa leggi e governa: non sa legare le gare all’annegare, il lancio del martello con gli atleti nazionali del lancio della chiave, la corsa dei tremila con l’esodo dei milioni dalle terre di guerra, non riesce a vedere il legame tra la corsa a ostacoli e la corsa ai ripari, il salto in alto con il salto sulle mine…

Non ha una visione omnidimensionale per capire che lo “scandalo” dello show dell’ultima cena o di una certa s’cena, ha molto meno importanza di tutte le ultime cene che fanno i detenuti prima di essere traditi e crocifissi da vari Pilati, di tutte le ultime cene che ogni sera i bombardati con quel nulla che resta da mangiare, interpretano, attori per caso, loro sì poveri cristi senza nemmeno un bacio, mai blasfemi, come chi invece continua a chiedere loro di inscenare quel cenacolo, che dovrebbe essere rinnegato da tutte le religioni, vietato da tutti i credenti d’ogni fede o devozione. Invece continuiamo ancora a separare, a dividere, a non collegare, a pensare a pezzi, mentre in pezzi vanno altri che provano a scappare a gambe “levate”, appunto non riuscendoci mai.

Un altro esempio: i campionati di calcio del Golan di una squadra bambina drusa, interrotto per pioggia, di missili, scaturita dopo, prima e durante tutte le altre carneficine di andata e di ritorno, per dimostrare chi é più bravo a vendicarsi di un terrorista, di un dittatore, facendo più morti collaterali possibili per fare scuola anzi per colpirla come un ospedale. Nuova disciplina Olimpionica diventa il tiro nel mucchio! (L’esempio non sta in piedi? Sono i sopravvissuti e altre migliaia di innocenti morti di fame che non stanno più in piedi senza arti). I funerali si celebrano non sotto la pioggia come i decuberteniani festeggiamenti francesi, ma sotto precipitazioni di missili su poveri islamici, palestinesi, cristiani, ebrei, maroniti, sciiti…Nessun funerale di Stato ovviamente: chi sono i parenti, dove sono, sono ancora vivi?

Come i 66 morti nelle carceri, che i genitori li avrebbero ma non sono stati ricevuti dallo Stato che nemmeno pensa alle esequie. Hanno partecipato ai funerali? No solo ai telegiornali, forse ai giornali, “celebrati” da qualche presentatore di turno od ospite di prammatica, e tutto finisce lì, con facce di circostanza, nemmeno sempre. Tutto troppo astratto per la nostra pelle interiore, troppo distratti da chi fa la pelle tra gli Apollo delle palle europee…Allora possiamo chiedere di veder le foto e piangerli, cari amici giornalisti di cronaca, di politica, di nera, di giusti e di sbagliati, di colpevoli o di innocenti? Il due agosto abbiamo onorato i caduti, 85 persone, nella stazione di Bologna, innocenti che non si possono più salvare se non finalmente a suon di verità resuscitante. Lo stesso vale per quegli 81 nei cieli e nei mari di Ustica che non si possono più tutelare (ma di cui tutto si sa ogni cosa, da 40 anni, ma nessuna Nazione ha l’eroismo di definirsi colpevole. E i “nostri futuri” migranti a migliaia? E soprattutto i prossimi carcerati, a centinaia l’anno? Quelli sì che si possono ancora salvare, si devono preservare, perché (forse) non c’entrano nazioni omerdose, strategie di depistamento, vendita di armi e di anime, qui è tutto vicino a noi, meno astratto, alla luce del sole: anche se non entra nei loculi dei sepolti vivi, nel male odore del senza amore, nei forni giornalieri dei loro corpi cotti e abbandonati nell’ammasso.

La loro è giusta pena? Sono colpevoli di qualcosa a differenza di quelli di Ustica o della stazione di Bologna certo, ma da colpevoli li facciamo vittime (i giustizialisti di razze chiedano lumi alla corte dei diritti umani). Non ci basta per stare sereni e non far niente per questa antica e continua ecatombe: la famosa pena, non è la morte, né la tortura, né il nostro indugiare continuo e convinto può esser la punizione, lo capirebbe anche un bambino, chiuso in galera. Possibile sia così impossibile congiungere morti a morti, dignità a dignità, follia a follia, bene a bene? Non vediamo come non vediamo? I parallelismi sono così arditi?

Cosa abbiamo ancora bisogno di toccare con mano, di intuire perché si possa non far morire, si debba non prescindere, e sciogliere finalmente i distinguo, non i corpi di chicchessia? Per questo avrò intenzione (appena potrò farlo in maniera utile ed effettiva chiedendo adesioni), di portare davanti al carcere della mia città o di fronte al Comune o alla Regione (in cerca di un Presidente che si candidi non a vita ma per queste vite) un water, preferibilmente rotto, ovviamente non collegato alla fognatura, poi cominciare ad andare di corpo (non vanno forse di corpi tanti stati?), anche a turno, se qualcuno sarà con me in questa “ protesta performativa” al limite degli atti osceni in luogo pubblico; per capire meglio e far vedere cosa sono invece gli atti osceni in luogo privato (del diritto e di qualsiasi dignità) o meglio gli atti intimi in luogo osceno: una cella due per tre (e non ci sono sconti in questo ipermercato infernale del male ufficiale).

Cominciamo a fare noi, da fuori, una rivolta a tutto questo, siccome lo consideriamo rivoltante: iniziamo a bruciare i nostri materassi, troppo spesso ignifughi, che non accendono nessuna protesta per far luce su quell’inumare inumano. L’idea ha una alternativa più “civile” e “legale” (definitemi vi prego, questi termini, che ora significano solo terminare, finire ogni rispetto del sacro).L’idea è quella di farci tutti “rivoltosi” partecipando il più possibile chi lo vorrà e ovunque si trovi: pantaloni, giacche e camice alla rovescia, simbolo del rivoltare per farsi notare, per far notare (sì, una delle specialità mancanti nelle Olimpiadi di sempre sono proprio i “notatori”), per inscenare qualcosa che rammenti a tutti quelli che ci vedranno in quello stato, che non dimentichiamo chi sotto lo stato muore, e che non stiamo più solo a vedere la classifica dei più torturati, non siamo più (a)spettatori, ma cambiamo panni, almeno per provare a sentire quando qualcosa non va, non è normale, non è possibile, prima che un carcere bruci del tutto con le conseguenze che conosciamo, conniventi.

Ridicolo? Inutile? Insieme a tutto ciò che con tante associazioni e volontari, religiosi e avvocature, dobbiamo fare e stiamo facendo, é pur un sempre meno futile o patetico della spasmodica attesa politico partitica, dello starsene a casa in attesa che entri in circolo un vaccino di Stato che lo salvi dalla morte dell’anima, iniettato da sempre ad ogni governo che si è succeduto, ma ha lasciato brutalmente succedere.