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di Ilvo Diamanti

La Repubblica, 4 agosto 2023

Il sondaggio Demos per Repubblica: il ministro Nordio le ritiene “una barbarie” e vuole riformarle. Un terzo degli italiani continua ad auspicare “ampia libertà” per i magistrati, ma prevale una posizione più cauta. È diffusa, da tempo, la domanda di cambiare il nostro sistema giudiziario. Rendendolo più rapido ed efficiente.

A questo fine, il Pnrr ha stanziato una somma significativa. Tuttavia, la riforma del ministro Nordio, che cancella l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze, ponendo limiti alla pubblicazione delle intercettazioni nelle indagini giudiziarie, suscita preoccupazione. In Italia e in Europa. Perché si tratta di scelte che riguardano materie “critiche”. I rapporti fra giustizia e politica, infatti, hanno conosciuto e conoscono contrasti e conflitti. Divenuti evidenti nei primi anni Novanta, al tempo degli scandali riassunti con la sigla di Tangentopoli. All’origine della caduta della Prima Repubblica. Silvio Berlusconi, negli anni seguenti, ha riproposto questa frattura. Marcando la distanza dai giudici. E dai magistrati. Le “toghe rosse”, come le ha definite il Cavaliere. Affiancato e guidato, nella sua “sfida”, da due consiglieri fedeli. Marcello Dell’Utri e Cesare Previti.

Ma le questioni relative alla giustizia si sono riprodotte nel tempo. Non solo per la classe politica e dirigente. Ma per l’opinione pubblica. Fino ad oggi. Come dimostra l’attenzione sollevata dal progetto di riforma della giustizia, presentato dal ministro Carlo Nordio. In particolar modo riguardo alla stretta sull’uso e la diffusione delle intercettazioni telefoniche, definite dal ministro “una barbarie”. Questa materia interessa i cittadini perché entra nella sfera della nostra vita quotidiana. “Minaccia” la nostra privacy. E, quindi, sconfina dal campo dei “politici” di professione e invade lo spazio del “senso comune”. Della “gente comune”.

Per questa ragione l’opinione dei cittadini, rilevata da un recente sondaggio di Demos, appare “controversa”. Ma, nel complesso, “avversa” alle intercettazioni telefoniche. E, tuttavia, cauta.

Meno di un terzo degli intervistati (30%) ritiene, infatti, che i magistrati debbano avere “ampia libertà nel loro utilizzo”. Una quota ampia, ma “minoritaria”. Mentre la maggioranza del campione (54%) esprime una posizione più “prudente”. Le ritiene importanti, ma pensa che vadano “meglio regolamentate”.

Infine, una componente più ridotta, ma significativa, pari al 14%, mostra, al proposito, un atteggiamento maggiormente “esclusivo”. E sostiene che le intercettazioni possano venire utilizzate solamente in casi specifici. Per fare fronte a reati e a minacce più gravi. Come mafia e terrorismo. Prevale, dunque, un orientamento “mediano”, che apre alla “mediazione”. Perché si tratta di una problematica, storicamente, di “frontiera”. Ma, al tempo stesso, “complessa”. Difficile da affrontare “complessivamente”.

Alla base dei diversi atteggiamenti in merito alle intercettazioni c’è, anzitutto, la posizione politica dei cittadini intervistati. Che ripropone la divisione fra maggioranza e opposizione. Infatti, fra coloro che “simpatizzano” per il governo l’incidenza di chi mette in discussione l’uso delle intercettazioni è superiore alla media. Questa “relazione” è confermata dalle preferenze di partito ed evoca il ruolo “storico” della giustizia, nel corso della Seconda Repubblica. A Centro-Sinistra, in particolare, c’è dissenso aperto verso il “controllo delle intercettazioni”. Ritenute “fondamentali”, per le indagini dei magistrati, da oltre metà degli elettori del M5S. Un soggetto “politico” sorto in funzione anti-politica, alla fine del primo decennio degli anni 2000. Su iniziativa di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Un anti-partito che ha sfidato i partiti. In quanto subalterni a interessi economici e di potere. Nel corso degli anni, però, il M5S è divenuto, prima, un’alternativa al non-voto. Per trasformarsi, successivamente in un “non-partito” di successo. Vincitore alle elezioni politiche del 2018, sfiorando il 33% alla Camera.

È divenuto, così, a sua volta un “partito” e, insieme alla Lega di Salvini, ha formato il “governo giallo-verde”, guidato da Giuseppe Conte. Tuttavia, nonostante negli ultimi anni il M5S si sia ridimensionato, le sue radici affondano ancora nel terreno “alternativo alla casta”. Dal quale è sorto. Un distacco analogo, seppure inferiore, dal progetto del governo è espresso da un’ampia quota di elettori del PD. Il 38% dei quali si dice apertamente favorevole all’uso delle intercettazioni, come strumento di indagine. Il consenso scende, invece, al 30% tra chi vota per la Lega, al 29% fra gli elettori di FI. E scivola al 19%, nella base dei FdI.

La riforma della giustizia, dunque, “coinvolge” gli italiani. Senza “sconvolgerli”. Evoca la memoria di Tangentopoli. Ma, anche per questa ragione, suscita una domanda di ri-composizione. Per andare oltre la frattura fra magistratura e partiti. Fra giustizia e politica. Che, nello sguardo dei cittadini, non sembra ancora risolta.