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di Sara Manfuso

La Notizia, 5 luglio 2023

Dalle borseggiatrici in metro alle banlieue. Chi alimenta l’intolleranza pensa solo ai voti. La qualità della vita del cittadino si misura a partire dalla qualità dei servizi essenziali garantiti dalle amministrazioni e che sono perfettamente misurabili attraverso una serie di parametri codificati, così da avere - attraverso i freddi numeri - una attendibile istantanea della situazione.

C’è da chiedersi allora come mai questi dati spesso non coincidano con la percezione che la persona ha di un determinato fenomeno. La microcriminalità, che pure nella sua capillare diffusione (pare non distinguere più tra centri urbani e periferie) risulta nettamente in calo in questi anni, eppure l’insicurezza sembra regnare nelle varie città. Qualcuno potrebbe attribuire la responsabilità a un certo tipo di stampa o a qualche parte politica che strumentalmente utilizza il tema per portare acqua al proprio mulino: una copia in più venduta di un giornale, o voti recuperati qua e là.

L’origine più profonda di questo disagio è invece da rintracciarsi nella giustizia e nella pena che spesso non assolve alla sua principale missione: la rieducazione e il reinserimento delle persone nella società. In questi mesi abbiamo assistito alle polemiche derivanti dall’immissione in rete - su pagine social i cui numeri crescono a velocità supersoniche - di video di borseggiatrici intente a commettere reati, con tecniche che appaiono perfettamente collaudate, in numerose città italiane.

Il nobile intento civico di denunciare i fatti mettendo in guardia le persone addirittura attraverso la diffusione di fotografie dei delinquenti contiene subdolamente un’altra forma di violazione, oltre naturalmente a quella della privacy, che è quella della fiducia nel lavoro delle forze dell’ordine. Attivare una gogna mediatica fomentando campagne d’odio contro determinate fette di popolazione, come ad esempio i rom, non aiuta a risolvere il problema ma acuisce il sentimento di rabbia tra cittadini mettendo in moto delle campagne discriminatorie che confondono la parte con il tutto.

Come quando in questi giorni, commentando i fatti francesi, decliniamo in chiave italiana il dibattito per attaccare l’Islam senza operare una doverosa distinzione tra la parte moderata di questa religione monoteista e le forme di fondamentalismo estremo. In questo modo dinanzi a un musulmano saremo portati ad avere una originaria forma di pregiudizio che ci porterà a non cogliere la ricchezza della diversità culturale, ma la minaccia dell’egemonia e della sopraffazione.

Allora, sarebbe importante fare un perpetuo bagno di realtà ricordando che quelli che sono stati definiti “freddi numeri” corrispondono alla vita delle persone e che la sensazione di insicurezza e di paura diffusa può essere curata investendo nell’efficacia e celerità degli strumenti di cui uno stato di diritto deve avvalersi. Integrazione, prevenzione, reinserimento sociale non sono concetti da etichettare come “buonista” ma devono essere i pilastri su cui costruire un’alternativa alla paura e alla discriminazione.

L’illusione che si possa risolvere i problemi da soli, abbandonando lo strumento della denuncia (perché tanto inutile) è il modo peggiore di gettare la spugna e di non concorrere a rendere il proprio paese civile. L’invito più grande, quando sentiamo orazioni governative contro la gravidanza delle borseggiatrici e l’uso strumentale dei minori per continuare a delinquere, è di comprendere che sono tentativi di generare un clima d’odio così da portare a casa una “legge spot”. Governare e fare propaganda come quando si sedeva ai banchi dell’opposizione in taluni casi può essere complesso e “vendersi” all’elettorato leggi che parlano alla pancia prima che alla testa può essere utile in vista delle prossime europee.

È giusto che chi sbaglia paghi e che chi commette un reato abbia una pena a questo commisurata, ma è altrettanto vero che il carcere e le sanzioni debbano essere nel rispetto dei diritti della persona perché recludere qualche giorno per rimettere nel tessuto sociale persone che non hanno una reale alternativa di vita offerta dalla Stato è quanto di più sbagliato possa esserci. Lavoriamo su questo, anziché sull’odio.