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di Alessandro Trocino

Corriere della Sera, 4 aprile 2024

Incidono le politiche penali e l’uso delle misure alternative. Il picco di questi giorni, il fenomeno suicidi e i rimedi possibili. L’avvocata Rossi: esterrefatta dal silenzio del governo. Ci sono troppi detenuti, si dice sempre. Sovraffollamento. La prima spiegazione che si dà, quella più istintiva, di pancia, è che siano aumentati i criminali. Che la delinquenza sia fuori controllo. Ma non è così. La criminalità è in continua diminuzione. Nel 1991 gli omicidi sono stati 1.916, nel 2022 sono stati 314. A cambiare sono i reati - vengono introdotte sempre nuove fattispecie - e le pene, che aumentano sempre di più. È l’effetto della cosiddetta panpenalizzazione, la tendenza cioè a far rientrare ogni marginalità e fragilità sociale in un’ottica punitiva. Quello che cambia, insomma, sono le politiche penali. L’uso o meno di misure alternative al carcere e la criminalizzazione di ogni comportamento deviante. Per essere più chiari, può essere utile tracciare una breve storia ragionata del sovraffollamento carcerario, negli ultimi decenni. segue nella newsletter del Corriere

Anni 90 L’escalation - Nei primi cinque anni dei 90, spiega Francesca Vianello nel libro “Sociologia del carcere” (Carocci editore), si assiste a un incremento inaspettato delle presenze, del tutto scollegato dal numero di reati denunciati. È l’effetto di un inasprimento dei processi di criminalizzazione nei confronti dei migranti e dei tossicodipendenti e dell’aumento della carcerazione preventiva (che oggi chiamiamo custodia cautelare, ma la sostanza è la stessa). Dal 1991 al 1993, come si vede nella tabella sopra, i detenuti passano da 35 mila a 50 mila. Quindicimila in più, in soli due anni. Dalla metà degli anni 90 fino ai primi del Duemila la crescita si arresta e c’è una lieve diminuzione.

2000-2008 Tre leggi criminogene e l’indulto - Nel dicembre del 2001 nelle carceri italiane ci sono 55 mila detenuti. La capienza regolamentare è di 43 mila. Solo la metà è definitivo (con condanna passata in giudicato) e oltre il 50 per cento ha un residuo di pena inferiore ai tre anni (e quindi potenzialmente beneficiaria dell’affidamento in prova ai servizi sociali). Dal 2002 la crescita ricomincia. A far da volano sono alcune leggi. La Bossi-Fini (2002), che criminalizza i migranti irregolari e trasforma le carceri in centri di permanenza temporanei in attesa dell’espulsione. L’ex Cirielli (2005) che aumenta le pene per i recidivi. La Fini-Giovanardi (2006) che riempie le celle di piccoli e piccolissimi spacciatori, che sono in realtà consumatori di droghe. Nel 2009 i detenuti per reati di droga erano il 41,56 per cento del totale. L’effetto combinato di queste legge fa crescere le presenze fino a quota 61 mila nel 2006. L’Italia arriva al secondo posto tra i Paesi europei, dopo la Grecia, per sovraffollamento. Nel luglio del 2006 viene varato un indulto, proprio per alleggerire le carceri. Escono 27 mila detenuti. Nel settembre del 2006, in carcere rimangono 38 mila persone. Ma le leggi di cui si parlava continuano a produrre i loro effetti. E in un anno entrano (o tornano) 10 mila persone in più in carcere.

2009-2013 La sentenza Torreggiani della Cedu e i decreti Cancellieri - Alla fine del 2009 i detenuti sono 64.791, il più alto numero dal dopoguerra, con un tasso di incarcerazione tra i più alti d’Europa (127 su 100 mila abitanti). È a seguito di questo sovraffollamento (arrivato al 150 per cento) che interviene la Corte europea dei diritti dell’uomo e nel 2013, con la sentenza Torreggiani condanna l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti. La conseguenza è un’ondata di preoccupazione, due sentenze della Corte costituzionale che ricordano l’obbligo dell’amministrazione penitenziaria di provvedere e censurano l’inerzia legislativa, e un messaggio del presidente della Repubblica sulla condizione delle carceri (8 ottobre 2013). Tre decreti legge - elaborati dal ministro Annamaria Cancellieri, del governo Monti - prevedono rimedi preventivi e compensativi della violazione dei diritti dei detenuti. Viene varata una legge, definita “svuota carceri”, che amplia la possibilità di ricorrere alla detenzione domiciliare (introdotta nel 1986), con braccialetto elettronico, per chi ha una pena residua da scontare inferiore ai 18 mesi.

2014-2015 Una stagione di riforme e il calo della popolazione detenuta - Dal 2010 al 2015, anche per effetto della sentenza della Cedu, la popolazione detenuta scende di oltre 15 mila unità e il tasso di sovraffollamento cala fino al 105 per cento. Comincia una stagione di progresso. Ci sono gli stati generali sull’esecuzione penale. Nasce la figura del Garante nazionale delle persone private della libertà personale. Nel 2014 a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, viene abolita la Fini-Giovanardi. L’effetto è che si passa immediatamente da una percentuale del 41,56 di detenuti per droga nel 2009 a una percentuale del 33 per cento. Nel 2015 vengono anche chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari o manicomi criminali, che finivano per prolungare all’infinito le misure di sicurezza detentive con quelli che venivano definiti ergastoli bianchi.

Dal 2018 a oggi Il giustizialista Bonafede, il Covid e la nuova “emergenza” - Nel 2018 i numeri ricominciano a crescere. In via Arenula si insedia Alfonso Bonafede, ministro ipergiustizialista dei 5 Stelle. Nei corridoi di Montecitorio spiega ai cronisti: “In carcere i detenuti stanno bene. Basta mettere la televisione e costruire nuove celle”. Poi arriva il Covid e i magistrati concedono più misure alternative al carcere (introdotte con la riforma del 1975 e potenziate dalla benemerita legge Gozzini del 1986). Da un paio d’anni l’altalena è ricominciata. Oggi ci sono in carcere 61.198 persone. La capienza è di 51 mila, ma effettivamente agibili sono solo 48 mila posti. Ogni mese il numero dei detenuti aumenta di 400 unità. Dall’inizio dell’anno si sono suicidati 29 detenuti e tre agenti di polizia penitenziaria.

Nel 2023, rispetto a due anni prima, c’era già stato un aumento di 4 mila persone. Dice Alessio Scandurra, responsabile dell’osservatorio carceri di Antigone: “Su 10 detenuti presenti più di 6 sono già stati in carcere una o più volte. Il carcere fatto in questo modo non serve né alla sicurezza dei cittadini né al reinserimento dei detenuti. È un carcere spesso illegale, che produce illegalità”. Per ridurre la recidiva, lo dicono i dati, è fondamentale l’applicazione di misure alternative alla detenzione.

In una videoconferenza organizzata dall’associazione Sbarre di Zucchero, l’ex componente del collegio dei garanti dei detenuti, l’avvocata Emilia Rossi, spiega: “Siamo al punto di rottura. Tra pochi mesi supereremo i numeri della sentenza Torreggiani”. Cos’è successo, si chiede l’avvocata? “Il clima è cambiato. L’orientamento politico generale è più securitario, c’è una traduzione in fatto penale di qualunque fenomeno sociale, una ricerca nel carcere come soluzione ai mali che si determinano all’esterno. Per carità, non è che prima ci fosse un garantismo totale. Il panpenalismo e la ricerca del consenso elettorale con soluzioni repressive c’erano pure prima”. Ma ora è diverso: “Sono esterrefatta dal silenzio del governo, ma anche del nuovo garante. Servono provvedimenti urgenti. L’amnistia o l’indulto, che però hanno un quorum più alto di quello delle riforme costituzionali. E allora serve una decretazione d’urgenza per la liberazione anticipata speciale”.

È la proposta di legge avanzata dal presidente di Italia Viva Roberto Giachetti, insieme a Rita Bernardini dell’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino. La proposta di legge mira ad aumentare da 45 a 60 giorni la riduzione di pena per ogni semestre di detenzione ai fini della liberazione anticipata. Non solo. Il secondo articolo prevede di introdurre per i prossimi due anni un ulteriore aumento dei giorni di sconto di pena (da 60 a 75). Per qualcuno solo un “pannicello caldo” rispetto alla tragedia che si vive nelle celle. Ma sempre meglio del silenzio gelido che avvolge le carceri italiane.