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di Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo*

Il Dubbio, 13 dicembre 2023

La tautologia è quel procedimento logico per il quale un fatto si assume essere vero “per definizione”, spesso in base a riflessioni circolari o autoreferenziali. È il modo di ragionare dei bambini, dei matti e dei tiranni, i quali hanno ragione perché, per svariati motivi, non accettano o non comprendono mai di avere torto. Con questo spirito sembra che il governo Italiano abbia deciso di rispondere ai quesiti che la Corte EDU gli ha rivolto nel caso che vede il nostro Stato contrapposto ai signori Cavallotti, imprenditori siciliani assolti in via definitiva dal delitto di partecipazione mafiosa e, anzi, ritenuti vittime di estorsione da parte di quei soggetti che il Pubblico Ministero ipotizzava, invece, essere loro sodali.

E che, nonostante l’assoluzione, sono diventati ancora vittime: questa volta, dell’onnivorismo della prevenzione che non segue i sofistici distinguo del diritto penale sostanziale (ad esempio, quella spigolatura, da raffinato giurista, tra imprenditore “soggiacente” e “compiacente”), ma divora tutto quello che le si offre, come la più spietata divinità precolombiana.

Così, ai Giudici europei che chiedevano come ciò sia possibile ed erano curiosi di conoscere se le nostre Leggi in materia di prevenzione siano accessibili nel precetto e prevedibili nella sanzione, se la confisca di prevenzione sia o meno considerabile sanzione penale, se l’irrogazione di una confisca senza un formale accertamento di responsabilità violi la presunzione di innocenza, se il procedimento - anche a causa dell’inversione dell’onere della prova circa la legittima acquisizione dei beni - offra sufficienti garanzie difensive, il governo, tramite l’avvocatura dello Stato, ha risposto con ben 121 pagine per tentare di spiegare che la nostra prevenzione (“nostra”, perché con queste caratteristiche, nel mondo, ce l’abbiamo solo noi) è conforme alla Costituzione repubblicana ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come assicura proprio la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Come i bambini, i matti ed i tiranni, dopo lunghe cogitazioni e richieste di rinvio, rassicuriamo l’Europa che “abbiamo ragione, perché lo diciamo noi”. Cioè (giusto per chiarire), mentre da Strasburgo ci indicano la Luna e ci dicono che la nostra Legge sembra dissonante rispetto ai cardini del diritto punitivo (legalità, tipicità, precisione, irretroattività in malam partem, tassatività, determinatezza, extrema ratio, proporzionalità, rieducazione, divieto di analogia in malam partem), a Roma guardano il dito e rispondono che i nostri Giudici quella Legge la applicano proprio bene.

Se diverse migliaia di cittadini italiani non ci rimettessero, ogni anno, il lavoro, la casa o la vita, ci sarebbe da fare spallucce e sorridere, proprio come si fa, appunto, con i bambini ed i matti. Ma, come avvisava Nietzsche, “a questa stregua uno può avere sempre torto e prendersi sempre la ragione e diventare alla fine con la migliore coscienza del mondo il più insopportabile tiranno”. E allora, qualcosa in proposito la dobbiamo dire, perché “l’ingiustizia suprema che è il sistema delle misure di prevenzione” (come lo ha definito, su queste pagine, Valerio Spigarelli) non debba continuare a proliferare sul nostro colpevole silenzio e sulle bugie che ancora andiamo raccontando in Europa.

Non è una analisi che può essere contenuta in un solo intervento, ma vogliamo almeno avviare il dibattito, perché il rischio da scongiurare non è tanto che la prevenzione “sopravviva” a Cavallotti, ma che diventi, definitivamente, il modello di punizione patrimoniale, sostituendo la sanzione penale e, quel più conta, il processo penale accusatorio, le sue garanzie, i suoi standard probatori.

La prima osservazione è di metodo. Il primo quesito che la Corte Europea pone al governo è chiaro: i decreti di confisca emessi a carico dei ricorrenti presuppongono l’opinione che essi siano colpevoli, nonostante l’assenza di una formale affermazione di colpevolezza? La “formale affermazione di colpevolezza”, che è lemma mutuato dall’art. 6 comma 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (non a caso, richiamato espressamente dal quesito), presuppone la celebrazione di un giudizio “giusto”, caratterizzato dalle garanzie previste dal successivo comma 3, e, quindi, di un processo penale che, secondo il nostro ordinamento, è l’unico strumento per il formale accertamento della colpevolezza.

Il quesito, allora, è se sia possibile una confisca senza condanna. Il governo, evidentemente ritiene scontato che ciò sia possibile, e, con molta abilità, elude la domanda e la interpreta come rivolta a chiarire la compatibilità tra provvedimento di confisca e precedente sentenza di assoluzione, così eludendo il tema proposto e argomentando sulla autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, con affermazioni sulle quali converrà tornare in futuro, tanto sono internamente contraddittorie. Quel che è certo, per ora, è che le risposte fornite all’Europa, il cui tenore era ampiamente prevedibile, non solo non convincono, ma suonano come il disperato tentativo di giustificare un fenomeno che “tutti ci invidiano, ma, chissà perché, nessuno ci copia”.

*Avvocati penalisti