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di Vincenzo Scalia

Il Manifesto, 14 dicembre 2023

Le analisi contenute nei volumi di Gian Carlo Caselli (Laterza) e Enzo Ciconte (Rubbettino). Il “ruolo suppletivo” svolto dalla magistratura, culminato in Tangentopoli e nelle inchieste di mafia, ha sollevato interrogativi e perplessità sull’operato dei togati. Quanto deve essere il terzo potere indipendente dal potere politico e indifferente alle dinamiche sociali? Quanto, viceversa, ne deve tenere conto? Due libri, pubblicati di recente, rappresentano un percorso di riflessione attorno a questi due temi.

Enzo Ciconte, nel suo “Diego Tajani a Palermo” (1868-1875), (Rubbettino, pp. 130, euro 18), ci racconta la vicenda del procuratore insediato negli anni immediatamente postunitari nella capitale siciliana. Tajani vorrebbe combattere la criminalità organizzata. Capisce che la mafia non esisterebbe senza la classe dirigente siciliana, e viceversa. Riscontra l’esistenza di una conflittualità tra le classi dirigenti siciliane, all’interno delle quali la mafia svolge quel ruolo di mediazione che gli garantisce una rendita di posizione.

Il rovescio della medaglia consiste nel controllo del territorio attraverso i mafiosi, che garantiscono un sapiente governo della criminalità di strada, assicurando ai funzionari dello Stato che stanno al gioco quel quantum di retate e arresti necessari ad assicurarsi il consenso pubblico e la benevolenza dei vertici del potere statale. Intanto, le carceri palermitane, traboccano di detenuti in attesa di giudizio o di imputati assolti, trattenuti perché manca l’ordine di scarcerazione della questura. Giuseppe Albanese, questore di Palermo negli anni di Tajani, fratello di due deputati, il gioco lo conosce benissimo, e, addirittura, scopre sconcertato il procuratore, lo promuove. Si accredita presso l’opinione pubblica dell’utilizzo del pugno di ferro ai danni di chi possiede poche risorse, mentre assume posizioni accomodanti coi mafiosi.

La goccia che fa traboccare il vaso è l’omicidio del mafioso Termini. Il pubblico ministero che indaga sul caso si rivolge a Tajani, raccontandogli di avere ricevuto una visita del questore, il quale lo invita a desistere dalle indagini, facendogli capire di essere coinvolto in qualche misura nella pianificazione dell’omicidio. Il procuratore indaga, fino ad arrivare ad emettere un mandato di cattura nei confronti di Albanese. Ma deve fare i conti con due elementi che gli si ritorceranno conto: innanzitutto, i testimoni ritrattano, riducendo le prove a qualche elemento indiziario; in secondo luogo, i veti incrociati del mondo politico e delle sezioni accomodanti dell’opinione pubblica siciliana più remissiva, hanno gioco facile in un quadro istituzionale in cui la magistratura è dipendente dal potere esecutivo. Ne consegue che Tajani viene trasferito e il mandato di cattura contro Albanese viene revocato.

C’è dunque bisogno di una magistratura indipendente? Gian Carlo Caselli, nella sua autobiografia Giorni memorabili che hanno cambiato l’Italia (e la mia vita), (Laterza, pp.130, euro 16), ne è fermamente convinto. È grazie all’indipendenza garantitale dalla Costituzione che la magistratura può operare con quell’etica della responsabilità che le consente di ottenere “risultati socialmente utili”.

Da questo momento, l’ex magistrato, propone al lettore la disamina di una serie di casi che lo hanno visto protagonista, sia come inquirente che come membro del Csm, in quota Magistratura Democratica, che, partendo dall’inquinamento ambientale, sconfinano nel terrorismo e nella mafia. Caselli sembra avere pochi dubbi rispetto all’operato della magistratura, lanciandosi in un’equazione tra terrorismo e criminalità organizzata, che estende anche al movimento No-Tav. Ne esce fuori una difesa acritica del suo operato e di quello, più in generale, della sua categoria professionale. Nessun dubbio sul rischio di deriva autoritaria che può derivare da una concezione etica e da un’eccessiva indipendenza della magistratura, che spesso si traduce in arresti indiscriminati, teoremi infondati, criminalizzazioni di interi gruppi sociali e movimenti politici.

A leggere i due libri, viene da propendere per una magistratura che sia allo stesso tempo indipendente e che non persegua risultati socialmente utili. Anche perché, se ci domandiamo come è cambiata l’Italia con le inchieste giudiziarie, un leggero pessimismo ci travolge.