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recensione di Marcello Pesarini

Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2023

“Le Vittime dimenticate” Affinità Elettive, pp.187, € 17,00 è un romanzo di documentazione attorno all’eccidio di tre carabinieri, il capitano D’Aleo, l’appuntato Bommarito e il carabiniere Morici, avvenuto a Palermo in Via Scobar il 13 giugno 1983, strage che ha atteso decine di anni per essere considerata al livello di altre barbare esecuzioni che l’avevano preceduta e seguita.

Dopo poche pagine l’autore, avvocato Giuseppe Bommarito, ci porta a interrogarci sulla scelta di descrivere la vicenda usando questa scrittura, asciutta ed efficace, che avanza per cerchi concentrici attorno all’intera storia. La scelta di avvicinarsi e allontanarsi dal fatto, avvicinando e allontanando una lente d’ingrandimento, costituisce il modo più efficace per comprendere un mondo che ci appartiene più di quanto non possiamo pensare.

Come dice Giovanni Falcone, con una frase inserita al termine della prefazione

Se vogliamo combattere efficacemente la mafia

non dobbiamo trasformarla in un mostro né

pensare che sai una piovra o un cancro.

Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia

Il lettore che viene incuriosito e spaventato dal reiterarsi di minacce, offese, sfide che vengono poste dalla mafia di Corleone, impegnata nei primi anni 80 a conquistare il primato sulla città di Palermo e sul suo volume di affari relativi al traffico, raffinazione e spaccio di eroina, scoprirà le diverse scale di valori e disvalori usate da Cosa Nostra.

Se da un lato per Totò Riina e e Bernardo Brusca di Monreale e San Giovanni Iato i nemici da sconfiggere erano le altre famiglie minori, intralcio al loro predominio, dall’altro i carabinieri impegnati nelle indagini, andavano eliminati con clamore e senza pietà, come rappresentanti delle istituzioni che avevano osato opporsi ai traffici e non avevano accettato né di essere comperati né di chiudere un occhio.

Non ci troviamo all’interno de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, ambientato negli anni 50, nel quale il padrino mafioso Mariano riconosce la dignità di combattente, uomo, al capitano Bellodi. Qui il mafioso, per libertà poetica di Sciascia o per onorare il coraggio del capitano, divide l’umanità in cinque categorie, gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi(con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà.

Ne “Le vittime dimenticate” Bommarito, lontano parente dell’appuntato, sceglie il realismo per “educare” il lettore, perché sappia in futuro quale debba essere il suo dovere di cittadino.

Quando ci troviamo di fronte alle lapidi che rappresentano, con foto, nomi e data di nascita e di morte di partigiani, di vittime di un attentato terroristico, siamo costretti a guardare negli occhi le persone che ci hanno lasciati anzitempo, nel momento in cui erano vive e mai avrebbero pensato a una fine violenta. Quegli sguardi, quei nomi, collegati a parenti, discendenti, tolgono le vittime dall’anonimato, dall’essere un semplice numero, e fanno partire in noi una riflessione su un mondo erroneamente considerato a parte.

La storia della compagnia dell’Arma parte con il capitano Basile ucciso nel 1980, fino alle vittime di Via Escobar del 1983, sempre appartenenti alla caserma di Monreale.

L’appuntato Bommarito svolse il particolarissimo ruolo di trait d’union fra Basile, di cui fu stretto collaboratore, e il nuovo arrivato D’Aleo, nel quale trovò la stesssa dedizione, caparbietà, lo stesso intelligente senso del dovere che aveva trovato nel suo predecessore Basile, ucciso il 4 maggio 1980.

Gli studi di documentazione che l’autore ha sostenuto sono stati rivolti a dare il quadro, riuscitissimo, di un’evoluzione delle varie cosche, sospinte dal miraggio del guadagno facile, del sempre crescente peso nei confronti dei cugini d’America, della successiva autonomia, dell’approfondimento delle tecniche di raffinazione dell’eroina.

La strada dei mercanti di morte si incontra, e non è un caso, con la “Meglio gioventù”, rappresentata nell’omonimo film di Marco Tullio Giordana.

Quella generazione nata dagli “Angeli del fango” di Firenze nel 1966, che attraversò le rivolte del ‘68 e dell’autunno caldo, si incontrò con le infiltrazioni dell’eroina fra le sue fila, e se la nefanda azione di Cosa Nostra è magistralmente descritta nel libro, non merita l’assoluzione neanche il comportamento dello Stato, debole e corrotto in molti suoi servitori come inefficace e miope nell’analisi del fenomeno mafioso da parte della Magistratura.

Se un merito sugli altri va riconosciuto all’autore vi è la capacità di mostrare da un lato la serietà e l’accuratezza dell’azione di Basile prima e di D’Aleo, Bommarito, Morici poi, perché uomini consapevoli del loro ruolo, e i pesi di tutti coloro che, nascondendosi, scegliendo il quieto vivere, la connivenza col Male, ne divennero parte integrante.

Seguiranno le morti di Falcone e di Borsellino e i grandi processi, il sistema di Cosa Nostra fu smantellato con una grande collaborazione costruita sulla scia del sangue.

A quarant’anni dalla strage di Via Escobar Giuseppe Bommarito ha chiuso un altro tassello di quelle vicende. Lo ringraziamo.