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di Nicolò Delvecchio

Corriere del Mezzogiorno, 21 gennaio 2023

Picchiato da tre guardie dopo una lite con un agente penitenziario. Il racconto è dell’ex detenuto Giuseppe Rotundo, assolto dopo 11 anni dall’aggressione al poliziotto. “Dopo un litigio con un agente sono stato messo in isolamento e aggredito da tre guardie. Ho reagito, colpendo uno di loro, ma in un secondo mi sono ritrovato a terra privo di sensi. Mi avevano massacrato. Il giorno dopo avevo un appuntamento con una psicologa che mi conosceva, ma che non mi riconobbe. “E tu chi sei?”, mi chiese. Quando le risposi si mise a piangere. Avevo il volto completamente tumefatto, ero irriconoscibile”.

Giuseppe Rotundo, 60enne di Minervino di Lecce, ripercorre con calma e lucidità l’orrore vissuto nel 2011, quando era detenuto nel carcere di Lucera. E anche la lunga vicenda processuale, durata oltre 10 anni, fatta di denunce reciproche e conclusasi nel 2021 con l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Rotundo, cosa è successo?

“Quel giorno mi rivolsi male a un agente di custodia mentre ero in fila per una telefonata. Da lì fui condotto in una cella di isolamento e mi fu detto di spogliarmi per una perquisizione, visto che avrei dovuto parlare col Comandante. Una volta nudo mi aggredirono in tre, io reagii per difendermi ma mi ritrovai subito a terra. Mi colpirono con calci e pugni su tutto il corpo, anche sulla nuca, fino a farmi perdere i sensi, prima di trasferirmi - ancora nudo - nella cella a fianco. Era gennaio, passai la notte così”.

E poi?

“Dopo aver lottato tutta la notte per sopravvivere mi presentai al colloquio con la psicologa del carcere, la dottoressa Natali. Mi conosceva, ma ero ridotto talmente male che non mi riconobbe. Quando le dissi il mio nome scoppiò a piangere. Quel giorno mi dissero che gli agenti mi avevano denunciato per aggressione nei confronti di uno di loro, che effettivamente avevo colpito ma per difendermi. A quel punto non avevo scelta”.

E quindi denunciò a sua volta...

“Sì, ma non spedii la lettera a nome mio perché ero convinto che non sarebbe stata mandata. La inviai tramite un altro detenuto al mio avvocato, che avvisò la Procura. Pochi giorni dopo arrivò il personale della polizia giudiziaria per farmi delle foto. Avevo emorragie oculari, ematomi e tumefazioni su testa, braccia, mani, gambe e piedi. Quindi mi trasferirono a Foggia ma subii diverse ritorsioni: su 60 giorni da scontare lì ne passai 40 in isolamento, non mi facevano arrivare i pacchi, ai colloqui mi lasciavano solo, la mia famiglia rimaneva ore all’esterno ad aspettare nei giorni di visita”.

Poi iniziò il processo, con le due denunce contrapposte...

“Sì, ma passò tanto tempo. In primo grado fui condannato a un anno e dieci mesi per l’aggressione, mentre per gli agenti intervenne la prescrizione. In appello, i giudici di Bari mi assolsero riconoscendo di aver agito per legittima difesa. Quindi riconoscendo le colpe degli agenti che però non furono condannati. Ringrazierò sempre l’avvocato Simona Filippi e l’associazione Antigone per avermi sostenuto in tutto questo tempo”.

Rotundo, per concludere: ora cosa fa?

“Da 10 anni ho dedicato all’elicicoltura (allevamento di lumache, ndr) un pezzo di terra che ho ereditato da mio padre. Ho intrapreso una nuova strada fatta di non violenza e rispetto dei diritti, dopo aver sbagliato tanto in passato. Ma il sistema carcerario va cambiato, lì dentro si vive in un clima di costante guerra di cui si parla poco. I detenuti non denunciano quasi mai le violenze per spirito di sopravvivenza, perché anche se parli poi comunque devi finire di scontare la pena in carcere”.