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di Andrea Aversa

L’Unità, 16 dicembre 2023

Aveva 43 anni, noto come “Serpico”, era originario di Francavilla Fontana in provincia di Brindisi. Recluso nel penitenziario di Borgo San Nicola nel Leccese, la vittima aveva prima accusato dei malori nel mese di giugno, poi - in seguito ad una febbre molto alta - è entrato in coma a luglio. Era ricoverato nel nosocomio di Casarano. I familiari che hanno sporto denuncia erano all’oscuro di tutto. Lo scorso lunedì è stata eseguita l’autopsia sulla salma. La procura ha avviato un’inchiesta, iscrivendo come atto dovuto, cinque sanitari nel registro degli indagati.

Cinque medici in servizio presso il carcere di Borgo San Nicola a Lecce sono ufficialmente indagati dalla locale Procura. L’atto dovuto è stato firmato dalla Pm Maria Consolata Moschettini. Questa l’accusa: responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. La vicenda è quella relativa a Patrizio Simeone, detenuto 43enne (divorziato con un figlio) originario di Francavilla Fontana (località in provincia di Brindisi), che ha perso la vita lo scorso 16 ottobre presso l’ospedale della città salentina. I suoi familiari hanno sporto denuncia contro ignoti, ritenendo che Patrizio sarebbe stato abbandonato e sottoposto a terapie sbagliate nel penitenziario pugliese. Ma facciamo un passo indietro e ricostruiamo i fatti.

Lo scorso 17 giugno, Simeone - che aveva problemi di dipendenza dall’alcol - non si è sentito bene ed è stato ricoverato in ospedale. Secondo quanto appreso da l’Unità che ha sentito i parenti del 43enne, Patrizio sarebbe giunto presso il nosocomio privo di sensi. Dopo un primo ricovero e i dovuti accertamenti, Simeone è stato riportato in cella. Della cosa la famiglia non è stata messa a conoscenza. Il mese successivo, a luglio, i parenti della vittima avevano ricevuto una telefonata. Era il loro legale, l’avvocato Michele Fino (che li assiste insieme al collega Gianluca Aprile). Quest’ultimo li aveva informati che Simeone era stato ricoverato presso l’ospedale di Casarano (cittadina in provincia di Lecce) in gravi condizioni. Era il 24 luglio scorso e Patrizio era stato intubato e trasferito nel reparto di rianimazione.

La sorella del 43enne, svolta la consueta pratica burocratica, era riuscita ad ottenere l’autorizzazione per vedere il fratello, in quel momento piantonato. Alla donna è comparsa davanti agli occhi una scena terribile. Dell’uomo che conosceva e che ricordava dall’ultimo colloquio, non c’era neanche l’ombra. Simeone aveva tubi ovunque ed era in stato di coma. A causare quel repentino peggioramento di salute, sarebbe stata una febbre altissima che il detenuto avrebbe contratto già in carcere. Dopo 82 giorni di agonia, trascorsi nel nosocomio, il cuore di Patrizio ha smesso di battere. Sulla sua salma l’autorità giudiziaria, in seguito all’apertura di un fascicolo per l’avviamento dell’inchiesta, ha disposto l’autopsia, regolarmente eseguita lo scorso lunedì. “La denuncia della famiglia Simeone - ha spiegato a l’Unità l’avvocato Fino - è stata sporta lo scorso mese di settembre, prima che Patrizio perdesse la vita. L’esposto è stato presentato per lesioni e contro ignoti”. Ci hanno invece detto i parenti del 43enne: “Noi vogliamo solo verità e giustizia. Vogliamo sapere Patrizio come è morto. Una persona detenuta deve pagare il suo debito con la società, scontando la sua pena. Ma non può saldarlo con la vita. I reclusi sono persone che hanno diritto ad essere curati e a vivere con dignità anche in carcere. Chi ha sbagliato dovrà risponderne in Tribunale”. Insomma, ci troviamo di fronte all’ennesimo presunto caso di mala sanità, avvenuto tra le mura di un penitenziario.