sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

casateonline.it, 15 marzo 2022

“Nella vita si può solo migliorare, ma è impossibile cambiare la propria storia e da dove si viene”. Ha esordito con queste parole domenica sera don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore della comunità d’accoglienza Kayros, invitato a parlare - presso l’oratorio San Giorgio alla comunità pastorale di Casatenovo - della sua esperienza con i giovani.

L’idea di organizzare questo incontro speciale è nata dalla collaborazione tra Piazza l’idea, per cui erano presenti Gianni Di Vito (della cooperativa La Grande Casa) e altri collaboratori, e la pastorale giovanile casatese; insieme hanno dato vita alla serata dal titolo “Non esistono cattivi ragazzi”, motto che da anni accompagna l’attività di don Burgio tra i ragazzi delle comunità e delle carceri.

Ad aprire l’evento è stato don Andrea Perego, vicario della comunità pastorale e referente per la pastorale giovanile e gli oratori delle cinque parrocchie casatesi, che ha ringraziato don Claudio per la sua presenza dando ufficialmente la parola all’ospite. Il cappellano ha subito spiegato la sua frase introduttiva, ricordando come essa le sia stata offerta da un ragazzo della comunità e sia stata per lui fonte di riflessione rispetto all’esperienza educativa e al rapporto che si crea con i giovani che delinquono.

“Quando un ragazzo commette un reato non è sempre cosciente e consapevole delle proprie azioni, spesso agisce in branco attraverso aggregazioni createsi spontaneamente che delinquono all’improvviso. Il nostro obbiettivo primario come educatori, quindi, è quello di far nascere in loro una coscienza maggiore di quelle che sono le loro azioni e ciò lo si può fare solo con l’ascolto della loro storia, che è il punto di partenza fondamentale di ogni relazione tra adulto e giovane. Questa operazione di dialogo implica chiaramente il ruolo della fiducia, che espone di conseguenza alla possibilità del tradimento e per questo non facile da cedere soprattutto da parte di ragazzi che in primis non hanno magari mai ottenuto la fiducia da parte di qualcun altro” ha spiegato don Burgio, sottolineando nel suo intervento quanto sia importante poi da parte dell’adulto e dell’educatore il fatto di mettere da parte pregiudizi e preconcetti legati al ragazzo perché l’idea è quella di una relazione all’insegna della reciprocità e non dell’unilateralità.

L’educatore, ha spiegato don Burgio, deve mettersi in gioco con i ragazzi che segue e non porsi su un piedistallo in una posizione privilegiata dettando regole che molto spesso sono sconnesse dal contesto. La fiducia può davvero creare rapporti costruttivi in grado di cambiare una vita, come nel caso del famoso rapper in arte “Baby Gang” (al secolo Zaccaria Mouhib), un giovane originario di Lecco dal passato difficile che dopo essere passato da dieci diverse comunità, è rimasto con don Burgio per tre anni grazie al rapporto di reciproca stima instaurata nel tempo con il sacerdote. Il ragazzo non si è solo sentito ascoltato ma anche accettato per quello che era al di là della performance o della prestazione e questo clima lo ha probabilmente spinto a inseguire la sua passione per la musica.

L’adulto, secondo il cappellano del Beccaria, deve quindi saper raccogliere e accettare gli sbagli dei ragazzi senza pregiudizi, cercando invece di focalizzarsi sulla valorizzazione delle sue qualità e capacità. Non è un caso, infatti, che l’impianto della giustizia minorile si basi propri sul conetto di rieducazione mentre il carcere viene visto come forma di punizione residuale. Basti pensare che nelle 17 carceri minorili in Italia ci sono solo poco più di 300 ragazzi, un numero molto basso considerando le migliaia di denunce al giorno legate a reati realizzati da minori. Lo scopo della rieducazione dovrebbe quindi essere ben consolidato anche nella mentalità di chi vive con questi ragazzi cercando di accompagnarli verso la prospettiva di una vita migliore che non punti alla perfezione, inesistente tra gli umani, ma all’autenticità e alla passione.

“Nei miei 20 anni di esperienza ho visto anche molti episodi di riconciliazione tra madri di giovani uccisi da coetanei e questi ultimi perché loro stesse non volevano consegnare la propria vita all’odio e al risentimento” ha proseguito don Burgio, “se non ci si ostina ad odiare per forza nella società, è possibile migliorare e ridare speranza a molti giovani in difficoltà che per lo più agiscono senza esserne consapevoli. Spesso infatti sono proprio i giovani delinquenti che si atteggiano da bulli ad essere stati loro stessi oggetto di bullismo e ricercano ora visibilità per mascherare delle fragilità interne. Questo viene poi amplificato dalla cultura adulta che si basa sulla ricerca sfrenata del successo e sulla prestazione, creando un senso di frustrazione e inadeguatezza in quei ragazzi che, come tutti, non si avvicinano a questo ideale di perfezione. In comunità, infatti, vengono sia ragazzi che non avevano niente e che hanno iniziato a delinquere per sopravvivere ma anche ragazzi di famiglie benestanti che proprio perché avevano tutto avevano bisogno di creare un’area di conquista personale attraverso i reati, indipendente da quella fornita dai genitori”.

“Si può quindi cambiare?”, ha chiesto al pubblico don Burgio entrando nella fase conclusiva del suo intervento. La risposta che il cappellano ha dato è stata affermativa, a patto che l’adulto sia disposto ad accettare i tempi e i modi di questo cambiamento nei giovani e che il ragazzo inizi a circondarsi di rapporti autentici e che li viva all’insegna del rispetto e della stima reciproca. Molte volte è proprio con queste premesse che si creano le condizioni indispensabili per far sì che il giovane senta di avere un’alternativa rispetto alla delinquenza, la quale è spesso da ricercare all’interno del giovane stesso, tra le sue passioni e i suoi sogni. La musica rap per molti di questi ragazzi ha significato proprio questo, ha spiegato don Burgio, perché è la concretizzazione di un impegno faticoso e costante che li aiuta in qualche modo a sentirsi valorizzati e responsabilizzati potendo far arrivare le proprie strofe a molti altri giovani.

“Io penso che, aldilà della presentazione di valori e morali, la passione sia ciò che possa far cambiare davvero un ragazzo” ha concluso don Claudio, “spesso anche nella proposta educativa cristiana proponiamo un bene che non affascina, la cosiddetta banalità del bene, fatta di valori estemporanei, ideali e astratti in cui è difficile per questi ragazzi rispecchiarsi. Come educatori, invece, dovremmo essere delle figure che offrono una testimonianza di vita credibile e coerente, mettendoci sullo stesso piano dei ragazzi ed entrando in un rapporto sincero e schietto con loro. Io, per esempio, ho deciso di vivere tutto il tempo con i ragazzi della comunità, per affrontare con loro ogni situazione e difficoltà del giorno e della notte e per far conoscere loro un adulto il più possibile “reale”.

Bisogna superare la banalità del bene secondo cui l’adulto va sempre e incondizionatamente ubbidito perché la verità del bene sta invece nel cammino fianco a fianco per crescere insieme, ragazzo e adulto”. Al termine del suo intervento, don Claudio ha risposto ad alcune domande postegli dal pubblico mentre è stato don Andrea a ringraziare nuovamente gli ospiti e gli organizzatori congedando così le numerose persone che hanno gremito il salone dell’oratorio.