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di Alessandro Parrotta*

Il Dubbio, 4 gennaio 2024

Liquidato da molti opinionisti come una “norma-bavaglio”, il recente emendamento Costa alla legge di delegazione europea, approvato alla Camera e in attesa di approvazione al Senato, ha già fatto molto discutere. La novità che si vorrebbe introdurre, cui fa da sfondo l’ormai noto “braccio di ferro” tra istanze di tutela del singolo (o di una cerchia di soggetti) e istanze di informazione dell’opinione pubblica, è quella che vieterebbe fino alla fine delle indagini preliminari la pubblicazione integrale o parziale da parte dei giornalisti dei testi (cioè delle motivazioni) delle ordinanze applicative di una misura cautelare - sino ad oggi consentita - che tuttavia contiene molto spesso anche i brani delle conversazioni intercettate, la cui pubblicazione, da Codice di rito, dovrebbe essere limitata ai soli “brani essenziali” (salvo poi dover accettare l’inevitabile unilateralità di tale scrutinio).

Tra le più autorevoli posizioni critiche, la segretaria della Federazione nazionale della stampa italiana, Alessandra Costante, nel commentare l’emendamento Costa, ha dichiarato di ritenerlo “un provvedimento liberticida nei confronti della libertà di stampa ma anche delle libertà individuali. È pericoloso infatti anche per lo stesso destinatario del provvedimento di custodia cautelare”.

Eppure, questa volta la realtà è una sola, risalente, radicata nel tempo e ben nota a coloro che, come chi scrive, frequentano quotidianamente i Palazzi di giustizia. È noto a tutti, infatti, che il legislatore degli ultimi anni (riforme “Orlando” e “Bonafede”) - preso atto del dilagante fenomeno distorsivo (cui una gran parte dell’opinione pubblica e della stampa sembrano ormai essersi assuefatte) dell’impiego dello strumento cautelare come una forma autosufficiente di “consumazione” ed esaurimento del giudizio di primo grado (costituita dalla richiesta di misura cautelare, che suona come una richiesta di rinvio a giudizio, e dall’ordinanza applicativa della stessa, che si vorrebbe dotare della medesima autorevolezza di una sentenza di condanna all’esito di un processo) - ha tentato quanto più possibile di porre dei limiti in materia di pubblicabilità sui giornali del contenuto integrale delle ordinanze; in particolare, di quel contenuto costituito dai brani delle conversazioni intercettate. Proprio considerato che, anche con riferimento a tale strumento investigativo, si è addivenuti sempre più ad un suo mutamento ontologico - da mezzo (ausiliario) di ricerca della prova a vero e proprio mezzo di prova - nonché al suo impiego ad un numero sempre più vertiginoso di fattispecie di reati (circostanze, entrambe, sulle quali il ministro Nordio ha promesso opportunamente una revisione profonda), l’emendamento Costa si pone come l’inevitabile “toppa”, più che bavaglio, per la tutela dei soggetti sottoposti ad indagine nonché per la tutela di soggetti del tutto estranei alle stesse che, di colpo, vedono comparire del tutto sine titulo il loro nome o quello di familiari sui quotidiani.

La prassi giudiziaria ha testimoniato l’enorme abuso in fase cautelare, tanto da parte delle Procure quanto talvolta da parte dei gip, del ricorso ai brani intercettati come (unico, talvolta) contenuto della “parte motiva”, vuoi delle richieste di misure cautelari vuoi, appunto, delle ordinanze applicative, entrambe destinate alla successiva pubblicazione integrale da parte della stampa.

Fermo, dunque, ed è bene sottolinearlo, che l’emendamento Costa non vieta in alcun modo alla stampa la possibilità di informare l’opinione pubblica circa l’avvenuta applicazione di una misura cautelare nei confronti di un soggetto, né di renderne note le ragioni a sostegno e gli elementi di prova addotti, si richiede, tuttavia, d’ora in avanti un maggior sforzo argomentativo agli organi di informazione, a tutela delle garanzie del singolo, che - in ultima istanza - non sono altro che le garanzie della collettività.

Nessun attacco liberticida ad avviso di chi scrive, dunque, ma anzi il tentativo, soprattutto culturale, di riportare un equilibrio di garanzie, in particolare nelle fasi primigenie di inizio di un procedimento penale (le più delicate) degno dello Stato di diritto in cui viviamo. Anche qui il collega avvocato Costa ha centrato l’obiettivo di chiedere più prudenza e più tutela nei confronti del soggetto sottoposto a indagini: non si può fare altro che accogliere positivamente l’emendamento e sperare che l’iter proceda senza indugio.

*Avvocato, Direttore Ispeg