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di Chiara Saraceno

La Repubblica, 25 luglio 2022

Affossando il governo con l’aiuto della destra i Cinque Stelle sono riusciti a bloccare ogni possibilità di affrontare quell’agenda sociale che pure avevano dichiarato essere non negoziabile, pur nelle loro plateali contraddizioni (perché non si può sostenere insieme il salario minimo e la lotta al precariato e il bonus edilizio del 110 per cento). Anzi, se alle elezioni vincerà la destra è altamente probabile che verrà smantellata anche la misura più identitaria del M5s: il reddito di cittadinanza, che, pur con i difetti di disegno e la sola parziale implementazione delle misure di accompagnamento, ha sottratto alla povertà assoluta milioni di persone in un periodo molto difficile.

Del resto, non è la prima volta che i Cinque Stelle contribuiscono a indebolire le misure che loro stessi hanno promosso. Sono stati loro a fornire fin dall’inizio il destro per la narrazione tutta negativa del Reddito e dei suoi beneficiari: con le norme definite (da Di Maio in persona) “anti-divaniste”, insieme alla scarsa, quando nulla, attenzione per i meccanismi che regolano la domanda e offerta di lavoro e per quanto è necessario per realizzare una politica attiva del lavoro così come per una vera politica di inclusione.

E la resistenza opposta ad ogni proposta che rendesse la misura insieme più equa ed efficace ha di fatto consentito che venissero introdotte solo modifiche peggiorative. Da ultima quella che, nel Decreto aiuti convertito in legge proprio mentre il Movimento rifiutava la fiducia al governo con il pretesto del termovalorizzatore a Roma, dà in mano ai datori di lavoro un enorme potere di ricatto, in quanto possono denunciare direttamente un beneficiario che non accetti un lavoro “congruo”, la cui definizione e accertamento rimane nel vago.

Chi prenderà seriamente in mano l’agenda sociale - precarietà, lavoro povero, povertà materiale e povertà educativa, vecchie e nuove forme di diseguaglianza - ora che siamo sotto elezioni, provando a costruire un discorso pubblico in cui la questione delle disuguaglianze inaccettabili possa essere affrontata contestualmente a quella dello sviluppo e dell’innovazione?

La “corsa al centro” in cui tutti i partiti, incluso il Pd, sembrano impegnati e la ricerca (soprattutto nell’area del centro-sinistra) di più o meno improbabili o affidabili alleanze rischia di relegare il tema ancora una volta ai margini, lasciando senza rappresentanza una buona fetta di elettorato, sempre più sfiduciato, quando non tentato da sirene populiste. Conte potrà cercare una ennesima reincarnazione in un Mélenchon nostrano, ma la sua, e del M5S, credibilità mi sembra scarsa, non solo per le troppe giravolte, ma anche per la sostanziale contraddittorietà della sua agenda.

Ciò che è riuscito nel 2018 non riuscirà nel 2022. Ma anche il Pd deve recuperare credibilità sui temi sociali. Più attivo, anche se in modo tardivo e senza risultati, sull’agenda dei diritti civili, su quelli sociali è stato infatti abbastanza reticente nei due governi cui ha partecipato, accodandosi da ultimo ad una “agenda Draghi” abbastanza nebulosa e in qualche caso controversa, anche a motivo dell’eterogeneità della maggioranza che la sosteneva. Fanno parziale eccezione il progetto di riforma degli ammortizzatori sociali e il programma di politiche attive del lavoro, che pure con la crisi di governo rischiano lo stallo.

Ora è il momento di uscire allo scoperto. Se si pensa di fare una campagna elettorale basata solo sulla paura della vittoria delle destre si rischia di rafforzare la motivazione al non voto tra chi è già sfiduciato. Un programma preciso e definito nei particolari è troppo e forse inutile. Ma qualche punto chiaro che segnali la consapevolezza dei problemi sul tappeto e indichi la direzione in cui si intende andare, in un contesto in cui le cause di vulnerabilità sono in aumento, mi sembra altrettanto importante della professione di atlantismo e europeismo.