sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Niccolò Nisivoccia

Il Manifesto, 15 settembre 2023

A proposito di “Io ero il milanese”, di Mauro Pescio e Lorenzo S. per Mondadori. “Ogni storia nasce da un incontro”, leggiamo all’inizio di Io ero il milanese. La storia dei miei errori e della mia rinascita (Mondadori, pp. 266, euro 18,50). A dirlo è Mauro Pescio, autore del libro insieme a Lorenzo S., che del libro è invece il protagonista: è infatti quella della sua vita la storia che ci racconta Pescio, assumendo l’io dello stesso Lorenzo (fatta eccezione appunto per le pagine iniziali, e poi per quelle finali).

Quando scrive che “ogni storia nasce da un incontro”, quindi, Pescio vuol fare riferimento innanzitutto a quello fra lui e Lorenzo, evidentemente consapevole del fatto che, se raccontare la propria vita equivale sempre, almeno in parte, anche a scoprirla o addirittura a inventarla, raccontare una vita altrui implica una fatica ulteriore, rappresentata dalla necessità di trovare un punto di contatto, come minimo, se non di immedesimazione, fra la vita raccontata e quella di chi la racconta.

La vita di Lorenzo è divisa in due: è una vita di “errori”, perché segnata dalla criminalità e da lunghissime detenzioni in carcere, per molti anni; ma è anche una vita di “rinascita” da un certo momento in avanti, perché quegli errori appartengono al passato di Lorenzo, il cui presente è costituito piuttosto dall’esatto rovescio di una vita criminale - e cioè non solo da una vita oggi libera, fuori dal carcere, nutrita “di natura e relazioni umane”, a cominciare da quelle con una compagna e con una figlia piccola, ma anche da un lavoro nell’ambito della giustizia riparativa e della mediazione penale e sociale, il cui fine è proprio quello di superare le conseguenze generate da un conflitto o da un reato attraverso il confronto diretto fra le parti stesse del conflitto o, nel caso di un reato, fra l’autore e la vittima del reato (al di fuori del processo).

È lecito allora chiedersi quale sia il punto di contatto fra la vita di Pescio, che è un autore radiofonico e teatrale e un attore, e che della criminalità non aveva mai fatto esperienza neppure indirettamente, e quella di Lorenzo. Anzi, in realtà lui stesso se lo chiede, anche nei confronti di chi legge, e la sua risposta è molto chiara e convincente: “come non occorre aver promesso vendetta al fantasma del proprio padre, per identificarsi in Amleto, così non è necessario aver esperienza di rapine, latitanza e carcere per riconoscere, nella storia del Milanese, qualcosa di noi stessi”. Ha ragione Mauro Pescio: è questo l’angolo visuale dal quale dovremmo apprestarci a leggere la storia, guardandoci bene dal credere che fra il mondo di una persona che abbia commesso atti criminali e quello di una persona che non ne ha mai commessi, né pensa che ne sarebbe capace, esista una netta cesura.

È vero il contrario, per quanto possa risultarci difficile ammetterlo: fra i due mondi esiste una zona di ambiguità, di incertezza, perfino di possibile confusione - ed è anche questa possibile ambivalenza di ogni vita a conferire alla storia di Lorenzo un carattere di “universalità”.

Ma in cosa consiste la storia? Perché Lorenzo era chiamato “il Milanese”? E com’è diventato la persona di oggi, uguale e diversa rispetto a quella di ieri? Rivelarlo significherebbe fare un torto al contenuto del libro, la cui bellezza è anche nel racconto in sé stesso, per come viene svolto e per quella dose di mistero che vi si nasconde dietro ogni curva, dietro ogni episodio. A poter essere svelato è dunque appena il minimo indispensabile, il che significa limitarsi a dire che Lorenzo era un rapinatore, di banche in particolare; e che era chiamato “il Milanese” perché a Milano ha vissuto i primi anni della sua vita, prima di tornare a Catania, da dove veniva la sua famiglia.

A questo si può aggiungere solo che anche la sua stessa vita, nella propria interezza, sia nel male che nel bene, sembra incarnare benissimo la verità di quel medesimo principio da cui il libro prende avvio, secondo il quale “ogni storia nasce da un incontro”: perché, così come l’ingresso nella criminalità era stato un tutt’uno con il contesto nel quale Lorenzo si era trovato subito catapultato al suo arrivo a Catania, ancora bambino, in ugual modo la sua “rinascita” potrebbe simbolicamente assumere il volto delle persone che l’hanno accompagnata.

Da Ornella Favero, la direttrice della rivista del carcere di Padova, Ristretti Orizzonti, nell’ambito della quale Lorenzo aveva maturato le prime riflessioni critiche su di sé, a Maurizio De Nardo, l’avvocato che gli ha procurato la scarcerazione definitiva; da Giorgia, l’educatrice con la quale Lorenzo ha vissuto la prima relazione sentimentale estranea agli ambienti criminali, a Francesca, che oggi è la sua compagna e la madre della loro bambina, fino ad Adolfo Ceretti e Federica Brunelli, protagonisti di quell’incontro con la giustizia riparativa e con la mediazione a sua volta non meno decisivo nella costruzione della “rinascita”. O meglio ancora: nella fondazione di nuovi orizzonti di senso dentro cui questa “rinascita” potesse inscriversi, e possa continuare a farlo.