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di Narges Mohammadi*

Internazionale, 12 ottobre 2023

Da anni in prigione per aver difeso i diritti umani, Narges Mohammadi ha appena ricevuto il Nobel per la pace. A giugno ha scritto un testo che dà voce a chi lotta contro i regimi autoritari

Lo scopo delle mie parole è dare un volto agli esseri umani che, ovunque nel mondo, subiscono una prigionia, tra le mura di un carcere o di un paese oppressivo, e che nonostante tutto aspirano a far cadere questi e altri muri: quelli dell’ignoranza, dello sfruttamento, della povertà, della privazione e dell’isolamento. Sentite in Iran il rumore sordo del muro della paura che s’incrina? Presto lo sentiremo crollare grazie alla volontà implacabile, alla forza e alla determinazione incrollabile degli iraniani. In quanto donna, e come milioni di altre donne iraniane, mi sono sempre dovuta confrontare con la prigionia imposta dalla cultura patriarcale, dal potere religioso e autoritario, dalle leggi discriminatorie e repressive e da ogni tipo di restrizione in qualsiasi ambito della mia vita.

La nostra infanzia non è sfuggita a questa prigionia culturale. “Loro” non ci hanno permesso di vivere la nostra giovinezza e, in una parola, la nostra vita. La triste verità, in fondo, è che il governo autoritario, misogino e religioso della Repubblica islamica ci ha rubato la vita. Da una parte e dall’altra delle mura del carcere di Evin, dove siamo state imprigionate, non siamo rimaste immobili. In quanto donne, a volte sole e senza sostegno, spesso travolte da accuse e umiliazioni, abbiamo spezzato a una a una le nostre catene fino a quando è nato il movimento rivoluzionario Donna, vita, libertà. Allora abbiamo mostrato la nostra forza al mondo.

Colpevole di vivere - Al liceo ho studiato matematica e fisica, poi ho proseguito all’università gli studi di fisica applicata. Sono diventata ingegnera. Tuttavia, a causa del mio impegno per i diritti umani, la mia formazione e la mia carriera si sono scontrate con “il muro dell’ostruzione”. Ho fatto la giornalista ma, per ordine della guida suprema della Repubblica islamica e dopo la chiusura dei mezzi d’informazione indipendenti, i nostri giornali e le nostre riviste sono finite sotto il “muro della censura” e la nostra libertà d’espressione è stata imbavagliata.

Sono diventata portavoce del Centro per la difesa dei diritti umani, per partecipare alla formazione in Iran di un grande movimento associativo e tentare di dare corpo a una società civile organizzata, reale e forte. Ahimè, queste organizzazioni si sono scontrate con la barriera innalzata dalle autorità, dopo attacchi ripetuti delle forze di sicurezza, sostenute dai servizi segreti e dai guardiani della rivoluzione. Ho protestato e lottato contro le politiche distruttive e repressive, al fianco di migliaia di manifestanti e oppositori che sono stati anch’essi accerchiati dalle mura della prigione, dell’isolamento e della tortura.

Infine, sono diventata “madre”, ma da molto tempo tra me e i miei figli si è levato “il muro dell’emigrazione e dell’esilio forzato”, come per centinaia di migliaia di altre madri che soffrono l’allontanamento dai propri figli. Mi mancano le parole per descrivere questa maternità rimasta dietro “il muro della crudeltà e della violenza”.

Nonostante questa prigione in cui ci troviamo non abbiamo mai smesso di batterci. Siamo diventate madri e padri universali, abbiamo conservato i nostri valori, il nostro entusiasmo, il nostro amore, la nostra forza e la nostra vitalità, abbiamo ricreato la vita vera.

Anche se ostacolate da tutte queste serrature, siamo state capaci di far emergere il potere di chi si oppone e la forza della contestazione. Il nostro impeto ci ha portato più in alto dei muri che ci opprimono e ora siamo più forti e solide di loro. Se le nostre sbarre sono l’immobilità, il silenzio e la morte, noi siamo movimento, eco e vitalità, ed è qui che si disegna la promessa della nostra vittoria.

Il governo della Repubblica islamica nega i diritti fondamentali alla vita, alla libertà d’opinione, d’espressione e di religione; il diritto a praticare la danza e la musica, e perfino il diritto all’amore. Se guardate con attenzione la società iraniana vedrete che ciascun individuo, in ogni momento della sua vita e in ogni luogo, è colpevole del desiderio di vivere. Rischia per questo reato le sanzioni peggiori, di essere punito, umiliato, arrestato, tenuto in carcere e perfino di essere condannato a morte.

Ognuno di noi è diventato un oppositore al regime. Il mondo è testimone delle proteste in Iran e della creatività del movimento, che ogni giorno inventa nuove forme di mobilitazione. Questo movimento conduce a una transizione che passo dopo passo allontana la Repubblica islamica e ci porta verso la democrazia, l’uguaglianza e la libertà. Il ruolo dei mezzi d’informazione indipendenti, della società civile, delle organizzazioni per i diritti umani, in tutto il mondo, è cruciale in questa lotta.

Care lettrici, cari lettori, la pubblicazione di questa lettera dimostra che la nostra voce è stata abbastanza potente da raggiungervi. Siate anche voi la nostra voce, trasmettete il nostro messaggio di speranza, dite al mondo che noi non siamo dietro queste mura per nulla e che ora siamo più forti dei nostri aguzzini che usano tutti i mezzi possibili per mettere a tacere la nostra società. Questa voce risuonerà nel mondo. Questo orizzonte ci motiva e ci rallegra. Trionferemo insieme. Sperando di veder arrivare molto presto quel giorno.

*Carcere di Evin, Teheran, giugno 2023 (Pubblicata inizialmente da Le Monde)