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di Simona Brandolini

Corriere del Mezzogiorno, 7 settembre 2023

Il magistrato napoletano: “Il buonismo si è rivelato deleterio, serve una sinergia tra pezzi dello Stato”. “Ho sempre posto l’accento sul carattere deleterio del buonismo, sulla facoltatività delle misure coercitive per minorenni, sul divieto d’arresto per reati anche gravi come il porto d’arma da sparo. Il Csm, nel 2020, tenne a Napoli una significativa seduta straordinaria, affermò che il perdonismo è criminogeno”. Luigi Riello è l’ex Procuratore generale di Napoli.

A luglio è andato in pensione. E, non da ora, lancia un allarme sulle baby gang (“le più pericolose”), sul senso di impunità dei minori che delinquono o uccidono (gli ultimi due casi drammatici sono quello della violenza di Caivano e dell’omicidio di Giovanbattista Cutolo), sulla reazione emotiva della politica. “Il minore che dice “non mi potete fare niente”, è un minore che non si rende conto del disvalore sociale del suo agire e i clan sono incoraggiati a reclutare sempre più ragazzi sbandati e impuniti. Non dobbiamo sbatterli in carcere e buttare la chiave, ma soprattutto offrire percorsi educativi efficaci”.

Secondo i dati del garante dei detenuti (lo ha scritto Sandro Ruotolo in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno) a Napoli sono circa 5.000 i minori che hanno a che fare con la giustizia, 28 i ragazzi accusati di omicidio e 80 quelli che devono rispondere di tentato omicidio. Sono questi numeri enormi a giustificare un’emergenza nazionale? O la violenza e la ferocia?

“Le due cose sono legate. Il problema della violenza giovanile a Napoli non è un problema locale o rionale, deve diventare una priorità nazionale. Ma occorre finalmente affrontare questo dramma in modo strutturale, razionale e non emotivo. Perché questo è un Paese che legifera sulla spinta dell’emotività, fa pendolarismo tra ipergarantismo e impulsi forcaioli. Decidiamo insieme cosa fare e come farlo”.

Lei ha sempre detto che a Napoli ci sono le baby gang più pericolose. Qual è la differenza con Milano?

“Napoli non è la città più pericolosa d’Italia o di Europa, ma ha una frammentazione in numerosi clan. Questi clan, a differenza di altre realtà, tollerano la presenza di bande di ragazzini ed anzi in queste bande selezionano le future leve con il miraggio della facile ricchezza, perché nel deserto dei valori il boss diventa un modello”.

Dopo la visita di Giorgia Meloni a Caivano, c’è un primo pacchetto di misure per il contrasto al disagio giovanile. Cosa ne pensa?

“Apprezzo senz’altro la volontà di dare un segnale forte di riappropriazione del territorio. Vanno bene anche il Daspo urbano e le sanzioni per i genitori inadempienti, ma è evidente che questi interventi, pur necessari e importanti, devono essere sorretti dalla consapevolezza che la repressione è un segmento di un’azione ben più ampia e strategica”.

Cosa intende?

“Molto è stato fatto e viene fatto meritoriamente, ma ci poniamo in una logica preventiva. Lo Stato negli anni è stato discontinuo. A Napoli esistono troppi quartieri ghetto dove vivono famiglie disgregate che non possono trasmettere valori. Quando diciamo “salviamo le periferie”, dobbiamo anche superare il concetto delle due città: la buona e la cattiva. Nessuno può chiamarsi fuori”.

E dunque?

“Bisogna voltare pagina nel senso più lungimirante. È necessaria una sinergia tra tutti i pezzi dello Stato: dobbiamo far sì che non vi siano destini immodificabili”.

Secondo lei sarebbe utile abbassare la soglia di imputabilità dei minori?

“Mi rendo conto che è un problema di cui si dibatte, ma non è una priorità. Non sarebbe risolutivo. Dai 14 ai 18 anni c’è un trattamento particolare, cerchiamo di essere più rigorosi coi minorenni. Poi si può discutere di tutto”.

Minorenni armati...

“È un dato oggettivo che circolino troppe armi. Io la chiamo la guerra degli sguardi: si spara per uno sguardo di troppo, per un motorino parcheggiato male, si è perso il senso del valore della vita. Lo Stato deve farsi sentire”.