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di Sandro De Nardi

Corriere Veneto, 22 novembre 2023

Talvolta le parole pesano come macigni, anche per l’autorevolezza (personale e) istituzionale di chi le pronuncia: tali sono senz’altro quelle proferite da Bruno Cherchi, nell’intervista - pubblicata ieri dal Corriere del Veneto - rilasciata nella sua veste di dirigente della Procura della Repubblica che conduce le indagini sull’omicidio di Giulia Cecchettin. Cosa ha detto, il Procuratore, di così “pesante”? Muovendo dalla premessa che, purtroppo, Giulia è stata ritrovata morta, e che l’indagato è stato arrestato in Germania, ora bisogna consentire alla giustizia di fare il suo corso e proprio a tal proposito ha stigmatizzato il “clima” non positivo, facile alla suggestione, che si è venuto a creare intorno a questa vicenda, stante l’eccessiva morbosa? - partecipazione emotiva dell’opinione pubblica. Ha dunque rivolto a quest’ultima (e forse alla classe politica?) un appello alla “decantazione”, invitando tutti a riflettere e a rispettare alcuni principi, scritti e non scritti, su cui si fonda il garantismo costituzionale in materia penale. In principalità, ha ricordato - talvolta implicitamente - quanto segue: 1°- Nel nostro ordinamento (art. 27 Cost.) vige il principio di non colpevolezza. O meglio, secondo la più accreditata dottrina, vige la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva.

Con quel che ne dovrebbe conseguire per l’indagato e/o per l’imputato in termini di trattamento protettivo e rispettoso (anche della dignità). 2° - Anche a chi è sospettato o accusato del peggior delitto va garantito un giusto processo (art. 111 Cost.): perché in uno stato di diritto la responsabilità penale (che è personale: art. 27 Cost.) va accertata nel rispetto delle regole sostanziali e processuali pre-stabilite, assicurando in modo pieno le prescritte garanzie di difesa; il che rappresenta un’autentica conquista di civiltà che non può soffrire deroghe di sorta, a meno che non si punti a una tribale vendetta. 3° - Anche nella fase delle indagini occorre garantire un clima di assoluta serenità, pure al di fuori delle aule di giustizia: affinché le stesse possano svolgersi nel rispetto e a garanzia di tutte le persone a vario titolo coinvolte, eliminando anche il mero sospetto che l’accertamento della verità sia inquinato da elementi non obiettivi. 4° Prima di giudicare, occorre conoscere: pertanto, bisogna rifuggire il giudizio aprioristico ed anche il (connesso) fanatismo, il tifo da (curva sud dello) stadio. 5° - Il processo penale è di per sé una pena: ed è tale - oltre che per i famigliari della vittima, naturalmente - anche per l’imputato e per le persone a lui vicine, a cominciare da chi ricopre il ruolo di genitore.

6° - Infine, tutti noi, nei rispettivi ruoli, abbiamo un dovere etico, prima che giuridico: quello di aiutare la giustizia. Quella del Procuratore è insomma una straordinaria lezione di diritto costituzionale: oltre tutto, tenuta con toni sobri ed eleganti. Prima ancora, è un invito a rispettare sempre talune elementari regole, la cui osservanza è fondamentale per garantire una convivenza davvero civile: tali regole impongono di respingere al mittente, ed anzi stigmatizzare, talune affermazioni circolate in questi giorni nei social media, nella parte in cui sembrano addirittura rievocare il barbaro atteggiamento tenuto dalle tricoteuses durante la Rivoluzione francese (che, com’è noto, sferruzzavano imperterrite mentre assistevano, sedute di fronte al palco della ghigliottina, allo “spettacolo” delle decapitazioni). Ora l’auspicio è che l’appello del Procuratore non cada nel vuoto: del resto - come ci ha insegnato Tullio De Mauro - le parole “sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite; proprio per questo, diceva un filosofo, gli dèi ci hanno dato una lingua e due orecchie”. A buon intenditor …