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di Donatella Stasio

La Stampa, 26 gennaio 2024

Neanche quest’anno Giorgia Meloni ha preso parte alla cerimonia della Cassazione evitando di ascoltare parole che smontano la narrazione del centrodestra. È un vero peccato che Giorgia Meloni non fosse presente neanche quest’anno all’apertura del nuovo anno giudiziario in Cassazione. Per la prima volta nella storia italiana, infatti, ieri questa tradizionale cerimonia ha avuto il volto e la voce di una donna, Margherita Cassano, prima presidente della suprema Corte da marzo 2023. Ma non è (solo) questo il punto.

Al di là dell’inedita e storica conduzione femminile, essere seduta sulla poltrona in prima fila riservata alla Presidente del Consiglio sarebbe stato doveroso per chi si accinge, lancia in resta, a cambiare connotati ai magistrati e alla giustizia. Ma chissà, forse l’assenza - motivata con una convocazione del Consiglio dei ministri - è stata strategica perché Cassano, con parole e toni pacati, né trionfalistici né rancorosi, piuttosto empatici seppure istituzionali, ha fatto cadere tutti i luoghi comuni della narrazione del centrodestra sulla giustizia, lanciando un “messaggio di speranza” che non si sentiva da decenni. Ha dimostrato, dati alla mano, che grazie, non a riforme di questo governo, ma “all’organico intervento riformatore del 2022” e agli sforzi dei magistrati, la giustizia ha nettamente migliorato le sue performance e quasi raggiunto gli obiettivi del PNRR: processi civili e penali più veloci, riduzione dell’arretrato, aumento delle garanzie, superamento dell’ottica carcerocentrica con le pene sostitutive del carcere e con la giustizia riparativa, riduzione del ricorso alla custodia cautelare con relativa diminuzione dei detenuti in attesa di giudizio… Insomma, per la prima volta, un anno giudiziario viene aperto con parole di “speranza” per una giustizia che sia non solo efficiente ma soprattutto effettiva.

Cassano è una magistrata di notevole esperienza e una donna di grande valore. Fiorentina, 69 anni a settembre, figlia d’arte, minuta, volto gentile e sorridente, amante della musica classica, si è impegnata a lungo, in passato, nell’associazionismo giudiziario nella stessa corrente, Magistratura indipendente, di Alfredo Mantovano, ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (anche lui assente alla cerimonia di ieri). Uno stile, un’apertura culturale, un respiro giuridico e un linguaggio molto diversi da quelli degli inquilini di palazzo Chigi. Se ieri Meloni si fosse seduta sulla poltrona a lei riservata nell’Aula magna del Palazzaccio, avrebbe ascoltato parole non usuali nella sua narrazione: dialogo, confronto, leale collaborazione, fiducia, cultura condivisa, empatia, ascolto, parità di genere. Sono le parole con cui Cassano ha descritto il riscatto della giustizia, suffragate dai numeri arrivati dagli uffici giudiziari d’Italia, che testimoniano un oggettivo salto di qualità, persino in Cassazione, dove la durata dei processi civili (1003 giorni) è a un passo dal disposition time del 30 giugno 2026 (977) mentre nel penale ha già raggiunto e superato l’obiettivo dei 166 giorni (la durata è oggi di 110). E ciò sebbene la nostra Cassazione sia, in Europa, la più oberata di lavoro fra tutte le Corti supreme.

Se Meloni fosse stata presente al Palazzaccio avrebbero forse maldigerito quelle parole, poco funzionali alle politiche del governo ma non aggirabili da chi ha la responsabilità di organizzare un servizio, la giustizia, essenziale per tutelare i diritti dei cittadini. Tanto più se il guardasigilli Carlo Nordio (presente alla cerimonia) non ha piena autonomia nelle scelte di politica giudiziaria, come ha dimostrato il primo anno di vita del governo. Avrebbe capito, Meloni, che, per consolidare il trend positivo in atto, bisogna evitare il sovrapporsi di leggi e leggine, spesso dettate da logiche settoriali, destinate a creare incoerenze di sistema e a produrre pesanti ricadute sul funzionamento della giustizia. Cassano non fa alcun riferimento esplicito alle “riforme” in cantiere su prescrizione, intercettazioni, abuso d’ufficio, processo penale e altro ancora, ma il riferimento ad esse è evidente, così come è evidente che, se approvate, potrebbero cancellare ogni “speranza”. Semmai, il governo dovrebbe impegnarsi di più sul fronte strettamente amministrativo, con risorse umane e finanziarie. Oppure con politiche sociali ed economiche, diverse da quelle penali.

Sono tre i focus che, anche a questo proposito, Margherita Cassano decide di accendere: carcere, infortuni sul lavoro, femminicidi. Il carcere è in debito di ossigeno sul personale, anche per l’esecuzione delle misure alternative, e il sovraffollamento (62.707 le presenze, su una capienza ufficiale, ma non effettiva, di 51.179 posti) resta un problema gravissimo nonostante i primi effetti deflattivi delle riforme, sempre quelle del 2022 (è bene precisarlo onde evitare che, come in altri settori, il governo ascriva a se stesso i piccoli progressi che si registrano). La sicurezza sul lavoro rappresenta un’emergenza reale perché, anche se si registra una lieve flessione delle denunce di infortuni con esito mortale (968 nel 2023), i dati ci parlano di una patologia sociale gravissima che impone “una forte azione preventiva incentrata sul recupero di effettività di controlli seri, efficaci, moderni, capillari”.

In uno stato di diritto non è tollerabile che si continui a morire di lavoro, dice Cassano rivolta anche a quella sedia vuota. E non è tollerabile neppure morire a causa di una “plurisecolare cultura maschilista e patriarcale”. Parole impronunciabili dalle parti di palazzo Chigi, eppure proprio questo si legge nel vocabolario Treccani alla voce “femminicidio”, citata da Cassano, sempre senza alcuna punta polemica e sciorinando la contabilità macabra delle donne uccise da mariti, amanti, padri padroni, fidanzati o partner: 97 nel 2023 e già 3 in questo inizio di 2024. Certo, polizia e magistratura possono e devono fare di più e meglio, ma è sulla sensibilizzazione e sulla prevenzione che bisogna investire, e non solo nelle scuole e in famiglia. È l’intera collettività che deve cambiare mentalità, frenando questa micidiale involuzione delle relazioni interpersonali in cui, ricorda Cassano, sulla dimensione affettiva prevalgono l’idea del possesso e del predominio sulla donna nonché il disconoscimento dell’uguaglianza di genere. È questione di “mentalità costituzionale”, direbbe un altro splendido fiorentino, purtroppo scomparso, Paolo Grossi, presidente emerito della Corte costituzionale. Qualcosa di più della cultura, del sentimento, dell’educazione: una forma mentis, un modo di vivere.

“Non può esserci libertà di denuncia senza libertà dai bisogni primari” chiosa la prima presidente, riportando di nuovo l’attenzione su politiche sociali, culturali ed economiche più che su quelle repressive. Ancora una volta, le sue sono parole lievi, come quelle di Simone De Beauvoir citata in conclusione (“La vita di ogni donna sia pura e trasparente libertà”) ma sono parole pesanti come pietre per chi, forse proprio culturalmente, non riesce a trasformarle in azioni concrete perché non capisce che “la parità di genere è strategica per la realizzazione dello stato di diritto - per dirla con il Procuratore generale Luigi Salvato - e la sua lesione, anche se non di rilievo penale, lo indebolisce e mette a rischio la democrazia”. Ecco, quella di ieri è stata proprio una lezione di democrazia. Di quelle che non ammettono assenze.