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di Tiziana Roselli

Il Dubbio, 24 ottobre 2023

Zanettin (FI), promotore dell’incontro con Camera, e Costa (Azione): “Un algoritmo non può giustificare le intercettazioni”. Bazoli (Pd): “La decisione sia solo umana”. L’uso dell’intelligenza artificiale nella giustizia penale è argomento sempre meno circoscritto alla sola riflessione dei tecnici e sempre più rilevante anche agli occhi della politica: se n’è avuta una prova dal convegno promosso ieri al Senato dall’associazione Italiastatodidiritto. Agli studiosi provenienti da avvocatura, magistratura e accademia si sono uniti esponenti della politica: tutti convergenti sulla necessità di garantire i cittadini da possibili abusi della tecnologia in ambito giudiziario.

In gioco ci sono la trasparenza, l’equità e il diritto di difesa: durante l’incontro (dal titolo “Intelligenza artificiale e giustizia penale: alla ricerca di un equilibrio tra sicurezza, efficienza e libertà”), lo hanno sostenuto, da diversi punti di vista, il penalista Guido Camera, presidente di Italiastatodidiritto e promotore della tavola rotonda insieme con il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, Guido Scorza, avvocato e componente dell’Autorità garante per la Privacy, Stefano Zanero del Politecnico di Milano e Massimiliano Lanzi dell’Università Lum. Nella seconda fase dei lavori, coordinata da Luca Luparia Donati, ordinario di Procedura penale, sono intervenuti il presidente emerito della Cassazione Giovanni Canzio, il deputato di Azione Enrico Costa, il senatore Pd Alfredo Bazoli e l’avvocato ed ex presidente del Coa di Milano Vinicio Nardo.

A provare a delineare il perimetro è stato Guido Scorza, secondo il quale “non possiamo considerare ogni tecnologia possibile come giuridicamente legittima e democraticamente sostenibile: non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente accettabile”. In altre parole, “se è comprensibile che la tecnologia ci permetta di identificare in modo predittivo i possibili futuri autori di reati, non dovremmo correre a utilizzarla ciecamente: non dovremmo sacrificare la democrazia e la dignità umana sull’altare della tecnologia”.

In sintonia con il rappresentante dell’authority si è espresso il capogruppo di FI in commissione Giustizia al Senato Zanettin, il quale è partito dalle “profonde preoccupazioni” riguardo all’uso dell’intelligenza artificiale in ambito giudiziario, sottolineando “l’importanza di un adeguato inquadramento politico”. Il senatore azzurro ha menzionato l’uso inquietante dell’intelligenza artificiale applicata alla cosiddetta polizia predittiva in alcuni Paesi, in particolare in Cina, dove si sospetta che venga utilizzata per reprimere il dissenso politico: “Il paletto da fissare è quello del rispetto dei diritti dei cittadini: tutto ciò che ci consente di trovare delle soluzioni e risolvere problemi va perseguito senza aver paura della tecnologia e del progresso, ma quando si tratta di andare a incidere su reputazione, libertà personale dei cittadini, e in particolare degli indagati, se la polizia predittiva ci aiuta a trovare prima i colpevoli va benissimo, ma dal punto di vista dell’avvocato o del giudice non è pensabile che si possano giustificare le intercettazioni o un’ordinanza di custodia cautelare sulla base di quei dati”.

Secondo il presidente emerito della Cassazione Giovanni Canzio, intervenuto in particolare nel panel dedicato a “Il giudice e l’algoritmo”, “questi strumenti stanno diventando sempre più comuni e giocano un ruolo cruciale nel determinare le sentenze e le pene nei casi giudiziari. Questo sviluppo è guidato dalla necessità di aumentare l’efficienza, risparmiare tempo e ridurre i costi del sistema giudiziario”. Tuttavia, Canzio sottolinea la necessità di garantire la fiducia dei cittadini nella giustizia, di preservare la parità di trattamento e l’uguaglianza di fronte alla legge: “Questo è possibile solo se le tecnologie e gli algoritmi impiegati nel processo penale sono neutri, obiettivi e non discriminano. Compito dei governi e dei giuristi è tenere insieme quello che non può essere frenato, e quindi l’evoluzione tecnologica del fenomeno, con il controllo di legalità e con l’umanità dell’operazione decisoria che si va a svolgere. In gioco ci sono valori imprescindibili, quelli che noi chiamiamo i metavalori” , ha ricordato il presidente emerito della Suprema corte. “In Italia e nella Costituzione il metavalore per eccellenza lo troviamo nel giusto processo. Dobbiamo dunque attrezzarci: nell’ingresso dell’intelligenza artificiale nel processo penal, e l’entrata dei tool deve essere ben correlata al tema delle indagini e alla responsabilità di tutti gli attori del processo stesso”.

Il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa ha suonato un altro campanello d’allarme. Parlando del potenziale rischio legato all’uso dell’intelligenza artificiale nelle intercettazioni, ha gettato luce su un’importante sfida che si sta profilando nel nostro sistema giuridico:

“Questo dubbio l’ho messo nero su bianco in un ordine del giorno recepito dal governo giorni fa, che spero faccia scaturire una discussione sul tema. L’interrogativo principale riguarda la capacità del nostro legislatore di introdurre gli strumenti adeguati per regolare queste innovazioni. Mi chiedo se il legislatore sarà in grado di introdurre strumenti idonei a recepire queste innovazioni”. D’altra parte le preoccupazioni non riguardano solo l’ambito legale ma la società nel suo complesso, come ha sottolineato il senatore Pd Alfredo Bazoli: “L’intelligenza artificiale è una forza che permea ogni settore della nostra vita. L’uso della tecnologia per aumentare l’efficienza e fornire maggiore certezza dovrebbe essere accolto con entusiasmo, ma è fondamentale che rimanga uno strumento al servizio delle decisioni umane”, ha detto il capogruppo dem in commissione Giustizia. “Non possiamo permettere che l’intelligenza artificiale diventi il decisore finale, né che influenzi in maniera incontrollabile le scelte di giudici e avvocati”. Insomma, l’IA potrebbe essere definita un “evento straordinario che entra nel microcosmo del processo penale con un mix pericoloso”. Formula proposta da Vinicio Nardo, e che è sembrata dare il senso delle riflessioni sviluppate nell’incontro di ieri.