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di Riccardo Radi

terzultimafermata.blog, 5 novembre 2023

La Corte di cassazione, con la sentenza 43091/2023, ha indicato i criteri che deve seguire il giudicante per concedere o negare il beneficio penitenziario previsto dall’articolo 54 ord. pen. La Suprema Corte premette che al pari degli altri benefici penitenziari, la concessione della liberazione anticipata è soggetta all’apprezzamento discrezionale del giudice di sorveglianza, la cui valutazione, che deve riflettersi nella motivazione, deve essere condotta sui binari segnati dall’art. 54 ord. pen.

Tale disposizione subordina la concessione della liberazione anticipata alla prova che il detenuto abbia tenuto regolare condotta e partecipato all’opera di rieducazione. In particolare, in materia vale il principio secondo il quale l’oggetto della valutazione del Tribunale di sorveglianza è la partecipazione, nel semestre temporale di riferimento, del condannato all’opera di rieducazione e non il conseguimento dell’effetto rieducativo (Sez. 1, n. 5877 del 23/10/2013, Rv. 258743, che ha annullato con rinvio il diniego della liberazione anticipata motivato in ragione della commissione di gravi reati a distanza di circa sei anni dalla fine dell’esecuzione della prima parte della pena e dell’evasione al termine del secondo periodo di detenzione, senza compiere alcun esame dell’impegno dimostrato dal condannato nel corso di ciascuno dei semestri rilevanti ai fini della concessione del beneficio).

Pertanto, la condotta del richiedente deve essere valutata frazionatamente, in relazione a ciascun semestre cui l’istanza si riferisce, sebbene tale principio non abbia carattere assoluto, non escludendo esso che un comportamento tenuto dal condannato dopo i semestri in valutazione, in costanza di esecuzione o in stato di libertà, possa estendersi in negativo anche ai periodi precedenti, pur immuni da rilievi disciplinari; la ricaduta nel reato è poi indubbiamente un elemento rivelatore di mancata adesione all’opera di rieducazione e di espresso rifiuto di risocializzazione (Sez. 1, n. 47710 del 22/09/2011, Rv. 252186; Sez. 1, n. 2702 del 14/04/1997, Rv. 207705).

Nel caso esaminato, il Tribunale di sorveglianza non ha fatto buon governo dei superiori principi. In primo luogo, dalla lettura del provvedimento emerge la carenza di valutazione del comportamento posto in essere dal detenuto nei cinque semestri per i quali veniva richiesto il beneficio.

In secondo luogo, i fattori negativi posti a fondamento del rigetto si riferiscono quasi integralmente a semestri di pena diversi da quelli in valutazione, contigui o lontani nel tempo, senza che il giudice motivi, al di là di un generico riferimento alla gravità dei fatti commessi e alla contiguità con il contesto mafioso, sulla loro reale rilevanza ai fini della valutazione imposta dall’art. 54 ord. pen. Invero, il provvedimento si fonda:

a) su due sanzioni disciplinari riportate da M., una nel quinto semestre, rilevante ma non approfondita nella sua valenza negativa, e l’altra nel “sesto semestre”, che tuttavia non è oggetto di istanza;

b) sui fatti riportati nel d.m. di proroga del regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen., e accaduti, come riporta l’ordinanza impugnata, “prima” della sua applicazione, quindi, in semestri di pena certamente antecedenti quelli in valutazione, senza che, tuttavia, il giudice spieghi come fatti posti in essere a significativa distanza di tempo possano riverberarsi negativamente sulla positiva partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione nel periodo di interesse;

c) sui trattenimenti della corrispondenza, sulla cui rilevanza il giudice a quo non si sofferma.

La motivazione appare, dunque, manifestamente illogica, se non apparente, per l’effetto che il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo esame, da condurre alla luce dei principi suindicati.