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di Francesca Barra

L’Espresso, 27 agosto 2023

Le donne sono centrali nelle organizzazioni criminali. Quelle che decidono di allontanarsene spesso non sanno a chi rivolgersi. Perciò esiste un protocollo per proteggerle e sostenerle, senza necessità che collaborino. La testimonianza della magistrata Alessandra Cerreti.

La mafia non è stata sconfitta. Le donne continuano a rivestire ruoli centrali nelle organizzazioni criminali e chi decide di non farne parte o di voler abbandonare la famiglia mafiosa, di smettere di essere schiava, di essere minacciata e obbligata a far rispettare i codici malavitosi e spesso a compiere reati a sua volta, non sempre sa a chi rivolgersi.

Alessandra Cerreti, sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, è una donna impegnata in prima linea da anni anche con il protocollo “Liberi di scegliere”, un progetto che assicura alle donne e ai minori abusati una concreta e diversa scelta di vita.

“Funziona: il protocollo è operativo dal 2013 e sinora al Sud si sono verificati più di ottanta casi in cui è stato adottato con esiti prevalentemente positivi. È meno noto al Nord, anche se a Milano lo abbiamo già applicato a una donna coniugata con un appartenente a Cosa Nostra siciliana. Se ne parla poco, perché, in generale, si parla meno di mafia, soprattutto al Nord. Il binomio donne e mafia è considerato un sub-tema. Tuttavia, queste ultime non sono sparite: anche nel Milanese, le nostre indagini rilevano vari ruoli delle donne che possono anche essere apicali”.

Sono spietate, vendicatrici, vengono reclutate da altri settori criminali, diventano prestanomi e, una volta accertata la loro fedeltà, ambiscono a ottenere un upgrade: diventare un capo mafia. Al Nord le associazioni mafiose operano con modalità a volte differenti: la cellula mafiosa può essere composta da non appartenenti alla famiglia naturale, cosa più insolita nel meridione d’Italia. Hanno più bisogno di trovare soggetti esterni e li individuano in donne dedite al narcotraffico, all’estorsione, alla raccolta dei soldi, con un ruolo di controllo e di disciplina degli adepti. Vengono informalmente affiliate senza bisogno di rituali, con un’investitura di fatto”.

Molte donne che hanno deciso di pentirsi o di diventare testimoni di giustizia lo fanno per proteggere i propri figli da un destino già scritto, ma i figli vengono anche utilizzati come ricatto da parte della famiglia per impedire alle madri di allontanarsi, di testimoniare. È l’aspetto più debole, ma al contempo può diventare una forza “perché genera quel desiderio di staccarsi per dare loro un futuro di libertà. Proprio a questo mira il protocollo: un passo in avanti rispetto all’ordinaria protezione dello Stato prevista per collaboratrici e testimoni di giustizia. Aiuta una donna ad andare via anche senza dover dichiarare nulla. Questa è la differenza eccezionale: la proteggeremo anche se non sa nulla o se non vuole parlare. La donna e il minore verranno protetti in una struttura, che li accoglierà con il prezioso supporto di “Libera contro le mafie”, con i medici, gli psicologi, gli insegnanti”.

I minori spesso sono in pericolo: subiscono un indottrinamento sui valori mafiosi, vengono utilizzati per recapitare ambasciate al papà latitante e ricevono una contro-educazione senza conoscere un’alternativa. I rapporti tra la famiglia d’origine e il minore saranno ugualmente garantiti, ma protetti, come con i genitori che abusano o maltrattano e, a diciotto anni, una volta acquisiti strumenti culturali adeguati e non più crescendo in una bolla, potranno scegliere con libertà e maggiore consapevolezza. Liberi di scegliere diversamente.