sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Ezio Mauro

La Repubblica, 18 luglio 2022

La verità è che la crisi di governo è una crisi di sistema: e appena un passo più in là c’è la crisi della democrazia. Ma c’è ancora “quella certa idea dell’Italia” di cui parlavamo sempre con Eugenio Scalfari, considerandola il principio ispiratore e insieme il perimetro ideale di un quotidiano come Repubblica?

Era una formula antica di Piero Gobetti, attualizzata per definire la comunità culturale che si riconosce nel giornale, formata a ugual titolo da chi lo scrive e chi lo legge: giustizia, libertà, la quota di uguaglianza che è possibile in democrazia, evitando esclusioni, l’Europa come scelta e come obbligo, l’Occidente come orizzonte, la modernizzazione del Paese come impegno, nella coesione sociale e nell’emancipazione dai suoi demoni della sinistra, incalzata a diventare radicale nei suoi principi, liberale nel metodo, riformista nella pratica di governo di un’identità finalmente risolta.

Oggi, mentre una lunga fase della vita di Repubblica finisce con la morte del fondatore e quel patto morale e culturale si rinnova, bisogna chiedersi se nella disgregazione del quadro politico che sembra arenarsi estenuato è ancora possibile trovare un principio di riferimento comune che salvi il salvabile, evitando l’esplosione congiunta di tutte le nostre fragilità e debolezze, con esiti imprevedibili ma certamente pericolosi.

La verità è che la crisi di governo è una crisi di sistema: e appena un passo più in là c’è la crisi della democrazia. Non va dimenticato, infatti, che il ministero Draghi proprio per la chiamata a palazzo Chigi dell’ex governatore della Bce e per l’impegno di quasi tutti i partiti rappresenta il punto più alto di responsabilità nel governo, e insieme il punto zero nell’autonomia del meccanismo politico e istituzionale.

Un governo non eletto ma figlio diretto dell’emergenza, anzi espressione e conseguenza dello stato d’eccezione in cui viviamo negli ultimi anni, assediati dal virus e dalle sue conseguenze sulla vita sociale, economica e di relazione: senza aver ancora smaltito del tutto gli effetti della crisi finanziaria più lunga del secolo, e da febbraio costretti a fronteggiare l’incubo quotidiano di una guerra scoppiata nel cuore dell’Europa, che reinsedia la frattura storica tra l’Est e l’Ovest del continente, minacciando la sicurezza e il futuro dei cittadini.

Tutto questo naturalmente non rende intoccabile Draghi, perché qualunque esecutivo vive di vita propria e qualsiasi autorità politica parte con una rendita di posizione che deve poi mettere in gioco ogni mattina, costruendosi quotidianamente il sostegno politico nella coalizione e il consenso popolare nel Paese. Ma rende invece estrema la soglia istituzionale cui è giunto il Paese con questa soluzione di governo. Ricordiamoci che quando il presidente Scalfaro chiamò Carlo Azeglio Ciampi a palazzo Chigi e disse a Gianni Agnelli che in seguito poteva toccare a lui, l’avvocato rispose che “dopo il governatore c’è solo un generale, o un cardinale”.

La coscienza di questo limite democratico alla fantasia e alla libertà di sperimentazione del sistema oggi manca. E invece proprio la torsione fuori da sé del mondo politico nel cercare una soluzione all’altezza dell’obbligo di governare le emergenze, dovrebbe farci capire che ci muoviamo sotto la costrizione della crisi, i nostri margini autonomi di manovra sono ristretti e soprattutto condizionati, tanto da mettere in campo l’ultima ipotesi, la carta finale. Se è così, se per la gestione del governo si è dovuti ricorrere coscientemente a una scelta d’eccezione - appunto estrema, come un governo di unità nazionale, che vede insieme destra e sinistra - la consapevolezza politica e istituzionale impone che anche la gestione della crisi tenga conto di questo vincolo d’emergenza, che non è certo sciolto, ma anzi rende particolarmente vulnerabile la nostra democrazia.

Questo non significa che i partiti debbano perdere la libertà delle loro decisioni e l’autodeterminazione nella gestione dei loro interessi legittimi e dei loro valori, che sono alla base della rappresentanza. La piena sovranità della politica sulle scelte per il Paese è un elemento della democrazia e va tutelata come garanzia d’indipendenza nel libero gioco dei partiti.

Nella libertà c’è però la coscienza della fase, che comporta l’obbligo di leggere il contesto nazionale e internazionale, le condizioni inedite che ne derivano, la proporzione eccezionale che la politica ha costruito per tentare un governo della fase. Gettare via tutto questo è irresponsabile, perché è come ammettere che il Paese non è governabile, nemmeno davanti alle sfide più radicali, neanche con le soluzioni più ardite e impegnative, e può soltanto arrendersi: come conferma la perenne tentazione salviniana del Papeete, con Berlusconi ormai al seguito.

La libertà non esclude una gerarchia di soluzioni: e oggi è evidente a tutti - ecco il punto - che nell’animo dei cittadini la crisi di governo è subordinata alla doppia crisi congiunta della guerra e della pandemia. L’unico modo per riconquistare una piena autonomia e una sovranità senza vincoli per la politica è l’affrancamento da questa subordinazione oggi obbligata. Vale a dire il superamento dell’emergenza, che non suggestiona soltanto il gioco democratico ma lo limita, deformandolo. Se questo è vero, ne discendono obblighi evidenti: una sicura capacità di mantenere la collocazione occidentale dell’Italia, per non indebolire lo sforzo congiunto di sostegno all’Ucraina, costruendo le condizioni per un vero cessate il fuoco e un negoziato; e una coerenza negli impegni di riforma necessari per attivare i fondi europei della ricostruzione. Queste due condizioni necessarie portano alla riconferma di Draghi: sta al premier garantire un ambito d’azione politica e di interlocuzione al M5S, alla disperata rincorsa dell’elettore perduto, nell’illusione di cercarlo nel richiamo della foresta populista. E sta a Conte far valere la sua dimensione smarrita di uomo di Stato che ha guidato due governi, rifiutando l’interpretazione mitologica e ideologica della sua caduta, determinata in realtà dall’evidente esaurimento della forza propulsiva grillina. Dentro questo spazio il M5S può esercitare un ruolo di rappresentanza dei temi sociali utile all’intero governo e al Paese, coprendo le faglie che li stanno riducendo letteralmente a pezzi di stelle, e Draghi può andare avanti per il tempo che manca.

L’unica alternativa è il voto, l’eterna tentazione da evitare è una soluzione balneare incapace di fare le scelte necessarie. Il Paese è esposto, più di altre democrazie. In questa situazione la responsabilità è la vera libertà della politica, e può diventare l’idea comune di un’Italia che nell’estate del 2022 sa provvedere a se stessa, mandando in ferie generali e cardinali.