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recensione di Corrado Stajano

 

Corriere della Sera, 5 gennaio 2015

 

Il terrorismo? Sembra lontana secoli quella stagione di sangue. Non se ne parla o quasi. Anche se i problemi che furono discussi non superficialmente in quegli anni - la giustizia, le carceri, la funzione della pena, il rispetto della Costituzione e delle leggi, la dignità del cittadino - seguitano a essere di quotidiana attualità.

Vengono invece dimenticati, sottovalutati, cancellati, lasciati ai margini del modesto dibattito politico di oggi. Monica Galfré, che insegna Storia dell'Italia repubblicana all'Università di Firenze, ha ripercorso, in controtendenza culturale, il tragico cammino di quegli anni: il suo saggio, pubblicato da Laterza, "La guerra è finita. L'Italia e l'uscita dal terrorismo 1980-1987" rappresenta un contributo importante, anche per il nostro presente, naturalmente. La studiosa dimostra che quella storia di violenza e di morte non è separata, come si vuol far credere, dalla storia della Repubblica alla quale è invece profondamente intrecciata.

Nella sua ricerca si serve di nuove fonti, gli archivi privati, non usa le testimonianze orali, registra con estrema attenzione le cronache e i commenti dei quotidiani, trascura purtroppo la tv. Pare che il saggio abbia due "anime" che si compongono. Nella prima, Monica Galfré affronta (volutamente senza completezza) certi fatti del terrorismo di sinistra e della manchevole risposta giudiziaria, istituzionale, politica, soprattutto agli inizi, degli apparati repressivi. I magistrati erano dotati di poveri strumenti.

Il Pci si muoveva tra l'incapacità e il rifiuto di capire che le Br nascevano a sinistra. L'album di famiglia. Il libro non parla delle ambiguità e delle complicità dei servizi segreti e neppure delle non ancora chiarite infiltrazioni e presenze internazionali. Anche la funzione della P2 è lasciata da parte. (Fu importante anche perché l'affiliazione alla Loggia segreta di un gran numero di generali a capo dei servizi, di ministri, di politici e di giornalisti di rango avvenne agli inizi del 1977, l'anno dopo il grande successo elettorale del Pci, anche se la Democrazia cristiana, nonostante gli scandali e il degrado, aveva tenuto.

Per i 55 giorni del sequestro Moro, il ministro degli Interni Cossiga ebbe intorno a sé come consiglieri gli uomini della P2). Il saggio di Monica Galfré documenta come la lotta dello Stato contro il terrorismo non abbia rispettato, come vien detto, le garanzie costituzionali. Ne fanno prova, tra i non pochi esempi, il caso del sanguinoso blitz di via Fracchia a Genova, nel 1980, dove furono uccisi senza ragione quattro terroristi; il caso di Marco, il figlio terrorista del vicesegretario della Dc, più volte ministro, Carlo Donat Cattin di cui i carabinieri sapevano e tacquero; il caso della tortura inflitta ai brigatisti sequestratori del generale Dozier, comandante della Nato nel Sud Europa. (Ancora oggi la Repubblica democratica attende una legge contro la tortura). Fu un'atroce guerra.

Duecento i morti, migliaia i feriti e innumerevoli gli attentati del terrorismo di sinistra, "che danno l'idea di un caso imparagonabile al resto d'Europa", scrive Monica Galfré. Se si pensa poi alle stragi, prerogativa dell'estremismo di destra, e alle altre innumerevoli vittime dei gruppi neofascisti, si ha la percezione del clima cupo che in quegli anni gravò sulla comunità. Gli episodi furono barbari, non soltanto gli assassinii degli uomini illustri come Aldo Moro e di tanti onesti servitori dello Stato. Il giornale radio delle 8 dava ogni mattina notizia di una nuova esecuzione, dirigenti industriali, capireparto, guardie carcerarie, agenti di polizia, carabinieri, brigatisti pentiti, giornalisti.

Viene ripetuto ancora oggi che il terrorismo ebbe il merito di sollecitare un rinnovamento politico e sociale. Come mai, si può replicare, le vittime sono state spesso uomini di sentire democratico, Emilio Alessandrini, Guido Galli, Walter Tobagi, tra gli altri? Dopo la strage di piazza Fontana ci fu nella società italiana un risveglio che si manifestò nella volontà riformatrice alle elezioni del 1975 e del 1976.

I terroristi, con la loro violenza cieca, seppero invece far regredire quel desiderio di mutare rotta, di dir no alla corruzione e al cattivo governo. L'assassinio del fratello del pentito Patrizio Peci, nel 1981, che rammenta i metodi nazisti, fece capire come i terroristi non potessero avere un consenso di massa. La seconda "anima" del saggio ricostruisce con minuzia e inediti particolari i processi legislativi, essenziali forse più dei pentiti, a sconfiggere il terrorismo.

Il percorso fu arduo, alla ricerca di una soluzione politica o semplicemente umana: dalla prima legge sui pentiti, del 1980, a quella, del 1982, che mettevano a rischio l'essenza stessa dello Stato di diritto. Come si poteva chiedere "sincerità" e "spontaneità del ravvedimento"? Soltanto la legge sulla dissociazione, approvata nel 1987, riuscì a porre fine al terrorismo. Andò in porto dopo un vero travaglio, una cruda lotta tra gli uomini di buona volontà, senza interessi di parte, e coloro che legavano la decisione ai meschini interessi di partito, tra i socialisti di Craxi all'avventura, i comunisti sulla difensiva, i democristiani sempre con gli occhi puntati ai doppi e tripli forni del potere, i cattolici democratici e gli intellettuali laici che ebbero, invece, con i radicali, una funzione propositiva.

"Cercare di capire le ragioni degli uni e degli altri, reali o presunte che fossero - conclude Monica Galfré il suo libro utile e coraggioso - mi è parsa l'unica strada percorribile per restituire, in tutta la sua complessità, il quadro determinante dalla sconfitta del terrorismo e dalla difficile uscita dall'emergenza: e, attraverso questo capire cosa esso abbia significato per la storia e la coscienza del Paese. (...) Una storia di cui è ancora difficile parlare".