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di Doriano Saracino*

La Repubblica, 10 agosto 2023

Negli istituti penitenziari della Liguria il tema della salute psichiatrica in carcere è enormemente sentito: mancano gli specialisti, il disagio psichico è cresciuto, i comportamenti messi in essere dai detenuti malati sono difficilmente gestibili. “È così da quando hanno chiuso gli Opg”, spesso si dice. Per chi non lo sapesse l’acronimo sta per “Ospedale psichiatrico giudiziario”, un luogo che non si dimentica facilmente se si ha la ventura di averlo visitato, di averci lavorato o, peggio, di esservi stati rinchiusi. Internati: questo era il loro nome. Non nominalmente detenuti perché malati, ma pur sempre reclusi. L’esigenza della sicurezza sociale prevaleva sul bisogno di cura. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono stati un “residuo manicomiale” sopravvissuto ad oltre trent’anni di legge Basaglia.

Nel 2011 la Commissione parlamentare accende una luce sulle condizioni di “vita” negli Opg. Uomini e donne legati ai letti, sottoposti a pesanti trattamenti farmacologici, costretti a vivere in condizioni igieniche miserrime. Le riprese video girate dalla Commissione colpiscono l’opinione pubblica. In breve tempo il numero degli internati scende, si riesce a trovare una soluzione alternativa per quei folli giudicati pericolosi socialmente: com’è possibile? Semplicemente gli operatori dei servizi psichiatrici territoriali iniziano ad entrare negli Opg, prendono in carico i malati ed inizia un programma di dimissioni. Insomma, molti internati stavano lì perché nessuno li prendeva in carico. Parliamo di circa mille persone dimesse in tre anni. Una legge del 2014 segna la fine degli Opg e l’apertura delle Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza applicate nei confronti dei soggetti giudicati parzialmente o totalmente incapaci di intendere e di volere. Al 31 marzo 2015, giorno che decreta formalmente la fine degli Opg, restano ancora 689 internati, che nel giro di qualche tempo sono stati trasferiti nelle Rems.

In cosa le Rems si differenziano dall’Opg? In primo luogo, la loro funzione principale è la cura e non la detenzione. Non sempre si può guarire, ma è sempre possibile curare, alleviare la sofferenza che la patologia psichiatrica causa anche nei malati più gravi. Inoltre, la permanenza in Rems è di norma un percorso a termine, a cui segue una dimissione: a differenza di quel che accadeva negli Opg nelle Rems non si può protrarre all’infinito la misura di sicurezza per una supposta pericolosità sociale della persona malata. Una ulteriore differenza è la regionalizzazione: mentre i sei vecchi Opg accoglievano malati da ogni parte d’Italia, oggi ogni regione deve farsi carico dei propri malati.

Tuttavia a quest’ultimo principio è stata stabilita una eccezione, che riguarda la Liguria: infatti a Calice al Cornoviglio è presente una Rems destinata ad accogliere quelle persone che si trovano illegittimamente in carcere in quanto giudicati incapaci di intendere e di volere e che per svariati motivi non trovano accoglienza nelle Rems della propria regione. Il Garante nazionale ed io abbiamo visitato questa Rems, dove a maggio erano presenti meno di quindici persone. Si tratta di una sede molto lontana da qualsiasi abitato, ed i pazienti sono sottratti alla possibilità di una significativa relazione territoriale per la sua specifica collocazione difficilmente raggiungibile: al di là della professionalità e dalla dedizione del personale, secondo l’opinione del Garante nazionale da me pienamente condivisa, ciò “contraddice in sé la finalità della collocazione in una Rems come tappa di un percorso” di reinserimento. Il timore è che per i pazienti ritenuti più gravi si vada verso una de-territorializzazione del ricovero delle persone più gravi e che si crei un modello di Rems dove l’aspetto di sicurezza, seppur necessario, diventi preponderante rispetto alla cura.

Secondo i dati più recenti, riportati a giugno dal Garante nazionale nella sua relazione annuale, nelle Rems ci sono 632 persone. Sommando ad esse i 42 illegittimamente in carcere arriviamo ad un numero grosso modo simile a quello delle persone recluse negli Opg al momento del loro smantellamento. È vero, ci sono altre persone in lista di attesa per entrare in Rems, ma non dobbiamo immaginare che essi si aggirino a piede libero nel nostro Paese. Alcuni sono ricoverati nei reparti psichiatrici degli ospedali, con grande dispendio di forze della polizia penitenziaria che li sorveglia, altri sono inseriti in normali comunità psichiatriche, o talvolta sottoposti a misure come la libertà vigilata, e capita che nel momento in cui il posto in Rems si libera essi nemmeno ci vadano, perché il magistrato valuta che la misura adottata sia sufficiente, perché il paziente-reo è adeguatamente seguito dai servizi territoriali ed ha ottemperato alle prescrizioni del giudice. Non è quindi la chiusura degli Opg la madre di tutti i problemi. Al tempo stesso sarebbe sciocco negare la sofferenza psichica in carcere. Secondo Antigone il 9,2% dei detenuti soffre per patologie psichiatriche gravi, ma prima era possibile “scaricare” in Opg parte di tali detenuti malati, oggi ciò non è possibile con le Rems. E se non si trova una comunità psichiatrica che lo possa accogliere, un detenuto malato è destinato a restare in carcere. Si aggiunga inoltre che il disagio psichiatrico nella nostra società sta cambiando, ed il carcere non ne è che lo specchio: panico, disturbi da stress post-traumatico, abuso di farmaci, non sono che alcune delle forme che oggi si ritrovano, dentro e fuori da quelle mura. Mi chiedo allora se non sia il momento di provare a discutere insieme di tutto questo, senza dividerci, senza steccati ideologici, con la prospettiva di curare tutti, per garantire una società più sana dal punto di vista psichico. Lavorare insieme, portando le diverse prospettive, quelle degli operatori penitenziari, degli psichiatri e degli psicologi, aperti al contributo dell’etno-psichiatria, o di chi si confronta con il disagio dei giovani o con le nuove dipendenze. Nell’idea basagliana è la comunità che cura: non il farmaco e nemmeno lo psichiatra. La mia ambizione è quella di pensare che in questa comunità che cura siano inclusi gli abitanti di Prà e di Calice al Cornoviglio, così come di ogni altro luogo che accoglie una struttura per la cura delle persone con problematiche psichiatriche, che siano autori di reato o meno.

*Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Liguria