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di Iuri Maria Prado

linkiesta.it, 20 settembre 2023

Una madre con una capacità mentale equivalente a un bambino di sette anni è stata accusata di aver lasciato sola in casa sua figlia di diciotto mesi, causandone la morte per negligenza. Il sistema giudiziario ha posto più enfasi sulla indignazione piuttosto che sul bisogno di cura per la persona che ha sbagliato.

Tempo fa una perizia aveva indicato che quella persona ha un quoziente di intelligenza di un bambino di sette anni, dunque è tecnicamente un’insufficiente mentale. Parliamo della madre che l’anno scorso lasciò la figlia sola in casa, per giorni, lasciando che vi morisse senza curarsene e che ieri ha dato la sua versione davanti ai giudici milanesi che la stanno processando.

Se quella perizia fosse fondata (e l’impassibilità dell’imputata nelle sue dichiarazioni di ieri lo lascia almeno ipotizzare) ci sarebbe da riflettere. Perché tutti ricorderanno lo strepito che quel caso suscitò, con l’Italia benpensante adunata in requisitoria contro la madre assassina e con la giustizia italiana mobilitata per dare soddisfazione a quella turba linciatrice.

È un discorso molto difficile da fare, quando di mezzo c’è la morte orribile di una bambina di diciotto mesi. Abbandonata, lasciata a languire nel letto, nel caldo atroce di luglio, con poco o nulla da bere e da mangiare, col biberon probabilmente instillato di droga per intorpidirle i sensi, e dunque morta così, di stenti, disidratata, con lo stomaco ripieno di lacerti di pannolino, la cosa di cui ha provato ad alimentarsi, presa dal terrore o impazzita di fame. È perfino difficile leggere una storia simile, figurarsi dirne qualcosa.

Ma c’è qualcosa da dirne pensando a quel che lo Stato, con la sua giustizia, immediatamente aveva preso a organizzare a carico della responsabile di quel folle delitto. Il potere pubblico che evidentemente non si accorgeva che quella donna era senza dubbio bisognosa di cure (e può essere che sia scusabile, questa disavvertenza: ma c’è stata), con ben poco diritto avrebbe potuto esercitarsi nella morale che invece faceva ornamento ai provvedimenti di giustizia nei confronti di questa malata.

I magistrati scrissero che questa disgraziata è “incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti”, e che non ha “rispetto per la vita umana”. Ma per quale motivo, a quale fine e in virtù di quale titolo un magistrato (il quale deve applicare una legge che non prevede il reato di “mistificazione e strumentalizzazione degli affetti”) ritiene di lasciarsi andare a quelle divagazioni moraleggianti?

E se quest’altro deve essere dunque il criterio, cioè l’indugio sulla dotazione morale e affettiva di quella persona chiaramente disturbata, allora perché non soffermarsi sulla responsabilità dello Stato etico che non si predispone adeguatamente per aiutare e assistere i bisognosi di cure, e dunque per prevenire gli inevitabili spropositi che essi possono commettere? Perché non c’era posto, in quella requisitoria, per la disattenzione pubblica che ha consentito a quella madre di fare quel che ha fatto?

E ancora (questa è la parte anche più difficile, ma anche più importante, del discorso): quel fare moraleggiante della giustizia a che cosa serviva? A restituire quella donna alla società, se e quando sarà possibile, e nella misura in cui sarà possibile, o invece a giustificare che la società la seppellisca per sempre? Quella bambina è morta per sempre ed era persino troppo piccola per capire il significato del male che la madre le stava facendo. Troppo piccola per capire che la fame e la sete che l’hanno tormentata fino a ucciderla erano l’effetto della noncuranza della mamma.

Ma a quelli che reclamano giustizia in difesa delle vittime, io domando: se quella bambina fosse sopravvissuta, e se avesse raggiunto un’età sufficiente a capire che la madre era così malata da non poterla amare, da non poter prendersi cura di lei, che cosa avrebbe preferito? Sapere che quella sua mamma, un giorno, chissà, avrebbe potuto fare un po’ di bene magari non a lei, ma a qualcuno, o sapere che lo Stato e la società che la giudicano gliel’hanno impedito per sempre? Vedremo quale giustizia sarà fatta su questo caso. Se ripeterà certi toni inquirenti, sarà inadeguata.