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di Luisa Brambilla

Corriere della Sera, 21 gennaio 2023

È tra le novità della Riforma Cartabia: chi è accusato di un reato e la vittima possono accordarsi per avere un colloquio chiarificatore. Che non cancella il processo, ma dà strumenti per guardare avanti. Ne parliamo con Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale alla facoltà di Scienze Politiche e sociali dell’università Cattolica di Milano, che ha partecipato alla stesura della Riforma.

Una stanza luminosa. Sei persone sedute attorno a un tavolo. Qualche tazza per il tè. Un piatto di biscotti. Un vaso di fiori. Dei sei presenti due sono mediatori, altri due sono figure di sostegno dei veri protagonisti: la donna che ha subito una feroce aggressione sessuale e chi l’ha commessa.

È il set di “The Meeting”, docu-film di Alan Gilsenan che ricostruisce in modo fedele l’incontro tra la vittima, Ailbhe Griffith, che nella pellicola interpreta se stessa, e un attore che indossa i panni del vero sex offender, Martin, e ne ripete parole e gesti (il trailer si può vedere su Youtube, il film su vimeo.com).

Il confronto si è svolto in Irlanda nove anni dopo i fatti, quando il responsabile del reato era già uscito di prigione. In uno dei momenti più drammatici della narrazione, Ailbhe guarda dritto negli occhi Martin e chiede: “Quella volta, avevi intenzione di uccidermi?”.

“Questa domanda nel processo penale non può trovare posto” commenta Claudia Mazzucato, professore associato di Diritto penale nella facoltà di Scienze politiche e sociali dell’università Cattolica di Milano. La intervisto dopo aver condiviso la proiezione del docu-film con i partecipanti al seminario dell’alta scuola Federico Stella sulla Giustizia Penale, di cui lei è membro. “Chi ha subito il reato, qualunque reato, partecipa al processo come persona offesa o parte civile che chiede un risarcimento. Ma il procedimento penale si incentra sull’accertamento del reato, e sulla quantificazione della sanzione da comminare all’imputato, se giudicato colpevole. Per questo è difficile che arrivi una risposta sincera a una domanda come questa, che potrebbe aggravare la posizione processuale. Invece la giustizia riparativa dà voce alla vittima, le permette di esprimere con nettezza quel che sente e quel che pensa a chi l’ha danneggiata. E ascoltare le sue parole”.

Claudia Mazzucato ha fatto parte del gruppo di lavoro incaricato nel 2021 dall’allora ministra della Giustizia di redigere la disciplina organica della giustizia riparativa confluita nel decreto legislativo 150/2022 di attuazione della Riforma Cartabia entrata in vigore il 30 dicembre scorso (ma applicabili dal 30/6/2023). Per questo le chiediamo di parlarci di questo approccio alla giustizia che è già stato sperimentato in varie parti del mondo. E che si sta cercando di portare in modo più organico in Italia.

La giustizia come la conosciamo, la giustizia con la bilancia, serve a separare chi ha commesso un reato e chi l’ha subito. Per impedire che questi, o chi lo rappresenta, applichi una vendetta “smisurata”. La giustizia riparativa, invece?

È vero, la giustizia con la bilancia è nata per frenare una ritorsione incontrollata. Ma la personificazione della giustizia nell’iconografia tradizionale oltre alla bilancia prevede anche la spada e la benda sugli occhi. Con la spada, si intende perciò retribuire il male con il male di segno opposto della pena, determinato con misura e limite. Questa idea di giustizia che è radicata in noi e viene applicata ovunque nei rapporti umani, ben oltre i tribunali, si basa sul presupposto che è giusto far del male a chi ha fatto del male. E che il reato si combatte con qualcosa che gli assomiglia (emblematica in certi ordinamenti la pena di morte per chi ha commesso un omicidio).

Poi c’è la benda sugli occhi...

Significa che il giudice non deve farsi condizionare dalla particolarità della vicenda, non deve conoscere le storie pregresse di vittima e colpevole. È lì per accertare il reato e sanzionarlo. E la pena si subisce, punto. L’imputato ha un ruolo passivo, è l’oggetto del giudizio. La vittima è marginalizzata dal processo nel ruolo di testimone più che di persona offesa.

Che cosa offre di diverso la giustizia riparativa?

Al percorso che porta all’incontro di giustizia riparativa, vittima e accusato del reato partecipano volontariamente, con un fine costruttivo. Il decreto 150/2022 introduce la possibilità di un incontro riparativo come opzione volontaria accessibile in ogni stato e grado del giudizio e nel corso dell’esecuzione e ne definisce le caratteristiche: deve essere libero, volontario, consensuale e confidenziale.

La giustizia riparativa si gioca sulla libertà...

Sì. Sul consenso unanime. Chi ha subito e chi è accusato del reato devono voler intraprendere questo percorso. Ogni passaggio viene concordato tra le parti dai mediatori, ognuno può abbandonare l’iter in qualunque momento. È una modalità attiva di ritornare sull’evento che ha attraversato per sempre la vita delle due persone.

È una situazione molto potente, di lotta non violenta: aver scelto di essere lì uno di fronte all’altro chiede una disponibilità incondizionata a rispondere anche alle domande sgradevoli, alle accuse. La giustizia retributiva è rivolta al passato, al male commesso, quella riparativa è rivolta al futuro, per liberarlo dal rischio che quel male si ripeta.

L’incontro non lascia le due persone come erano prima, c’è sempre una trasformazione. Se ancora in taluni casi non sembra possibile fare a meno della pena, inserire l’opportunità di ricorrere alla giustizia riparativa non lascia il campo alle sole logiche repressive di sanzione del passato.

Che ragioni può avere la vittima, o chi le sopravvive, per chiedere questo incontro?

In ogni percorso c’è una dose di unicità. Chi come me pratica la giustizia riparativa può indicare alcune motivazioni ricorrenti. C’è chi ha bisogno di sapere qualcosa dall’altro (“Perché hai scelto me?” è la domanda che molti fanno), di raccontare chi è e quali ripercussioni ha avuto il reato. C’è chi vuole poter tornare a fidarsi degli altri. O uscire dalla condizione di vittima in cui è rimasto cristallizzato. Non si tratta di cancellare il passato, di perdonare, ma di tornare in possesso della propria vita e guardare avanti. E c’è chi capisce che l’odio che prova per il colpevole sta avvelenando l’esistenza sua, dei figli e della famiglia e cerca una via per smettere di odiare.

E il colpevole?

C’è chi è schiacciato dal peso di quello che ha fatto. C’è chi tenta di chiedere legittimamente una riduzione di pena. Le finalità utilitaristiche non devono scandalizzare. Va sottolineato infatti che i vantaggi che l’imputato/accusato/colpevole può trarre dalla giustizia riparativa li potrebbe ricavare per altre vie, sicuramente meno impegnative sul piano personale.

Vittima, colpevole. Qualcun altro può proporre quest’incontro? E qual è il momento giusto per farlo?

Anche l’autorità giudiziaria o il difensore possono proporre questa procedura. Che nessuno comunque è tenuto ad accettare se non la ritiene adatta a sé. Va sottolineato che il mediatore ha l’obbligo di informare la persona offesa, qualora il procedimento si avvii prima della conclusione del processo penale, che l’incontro potrebbe mitigare la pena dell’imputato. Non c’è poi un momento giusto a priori per entrare in questo cammino. Bensì un tempo soggettivo che matura in modo diverso per ciascuno.

Come si articola il colloquio?

Premesso che c’è una serie di contatti preliminari tra i mediatori e le parti, per raccogliere il consenso informato al confronto, nessuno sa in anticipo che cosa succederà. I due protagonisti sono avvertiti che si tratterà di sporgersi sull’ignoto, per fare un passo verso l’altro. Quello che avviene dipende poi da ciascuno e da tutti. Non si deve pensare che in questi incontri si fronteggino solo persone che hanno ruoli ben definiti: la vittima e il reo. Ci sono contesti in cui quella che è la vittima di una specifica situazione in un’altra è stata l’aggressore. Può capitare quindi che a porgere le scuse non sia soltanto il colpevole, ma anche chi il reato in questo caso l’ha subito.

Ha accennato che il colpevole può trarre vantaggio dall’incontro per quanto riguarda la riduzione della pena. Può spiegare meglio?

Premessa: sotto la nozione di giustizia riparativa sono ricompresi programmi diversi con i quali in tutto il mondo (Europa, Nuova Zelanda, Usa e Canada, dove è stata introdotta per la prima volta nel 1974) si gettano le basi di un confronto potenzialmente sincero tra vittime e accusati o responsabili. Secondo quanto stabilito in Italia dal decreto legislativo 150/2022, l’incontro riparativo che si conclude con impegni precisi simbolici e/o materiali viene valutato dal giudice al fine della mitigazione della pena. Se c’è un accordo sul risarcimento del danno, redatto insieme ai mediatori in modo molto preciso e stringente, viene meno la necessità di un’azione civile.

Tenendo presente che la giustizia riparativa si può applicare a ogni genere di reati, da quelli violenti a quelli di impresa, ai reati ambientali, negli impegni può rientrare, ad esempio, l’accordo per la bonifica di un sito inquinato. O impegni comportamentali che l’autore del reato si assume; ad esempio se ha agito sotto effetto di alcool o di sostanze, può vincolarsi a un percorso terapeutico. E poi c’è quasi sempre un esito simbolico che si concretizza nelle scuse.

C’è chi chiama questo modo di amministrare la giustizia perdonismo. Cosa risponde a chi muove questa accusa?

Provate a scoprire in prima persona quanto costa percorrere quella strada per chi ha sbagliato. Gli incontri sono confidenziali, ma per chi volesse avvicinarsi all’esperienza riparativa ci sono libri, testimonianze, documentari. Oltre a “The Meeting” (il film citato nell’introduzione, ndr) restando sul tema della violenza delle donne, si può vedere il film “A better man”, che racconta il percorso di uscita dalla violenza domestica (trailer e visione integrale, in inglese, su abetterfilm.com). Sull’esperienza italiana, di incontro tra vittime e responsabili della lotta armata, c’è “Il Libro dell’incontro”, di cui sono curatrice con Adolfo Ceretti e Guido Bertagna (2015, Il Saggiatore).

Tornando alla domanda posta da Ailbhe, la protagonista di all’aggressore, che risposta ha avuto? Martin sulle prime ha tergiversato, dicendo che non avrebbe saputo rispondere, che era confuso. Poi ha ammesso che se non fosse stato fermato (l’aggressione è avvenuta all’alba per strada, due uomini sono intervenuti e l’hanno bloccato, ndr) forse sarebbe andato fino in fondo, uccidendola. “Non ci saresti più, avrei rovinato la mia vita. E non saremmo qui adesso, a parlarne, insieme” ha concluso.