di Errico Novi
Il Dubbio, 10 agosto 2024
Ottima l’idea dei limiti alla custodia cautelare, che potranno anche attenuare il sovraffollamento, non prima di un anno. Cancellare l’abuso d’ufficio. Un azzardo, per molti. Un’esuberanza al limite dell’incostituzionalità, per alcuni. Di certo, un risultato rilevante nella politica giudiziaria del governo, e dunque nell’azione del guardasigilli Carlo Nordio. Non l’unico: già nella legge in cui è inserito l’addio all’articolo 323, e che Sergio Mattarella sta per promulgare, ci sono altri elementi di rilievo, come i nuovi limiti alle intercettazioni, incluse le tutele per i colloqui dell’avvocato con il proprio assistito, e diverse altre novità sulla fase preliminare, dall’informazione di garanzia non più sibillina al diritto, entro certi limiti, di discutere col giudice prima di vedersi sbattuti in galera. Fino al giudizio collegiale sulle richieste di carcerazione preventiva, che entrerà sì in vigore di qui a un paio d’anni, ma la cui istituzione è un passo importante verso obiettivi che il guardasigilli continua a considerare centrali.
Si è insinuato per settimane che il Capo dello Stato avrebbe finito per negare la promulgazione dell’ampia riforma penale firmata da Nordio, e che ne avrebbe chiesto alle Camere un riesame, con tanto di lettera critica su abuso d’ufficio e traffico d’influenze. Non è così: il Dubbio lo ha accertato per l’ennesima volta, come potete leggere nell’articolo di Simona Musco che apre la prima pagina di oggi. Di certo c’è che, al Dubbio, il Quirinale ha ribadito la smentita, netta, del rinvio alle Camere e della fantomatica lettera di Mattarella. La Presidenza della Repubblica ha respinto nel modo più reciso possibile anche un’altra delle impegnative ipotesi circolate nelle ultime ore, vale a dire che il Capo dello Stato abbia messo in stand by la riforma Nordio per rendere contestuali l’abrogazione dell’abuso d’ufficio e l’introduzione del peculato per distrazione, misura prevista nella legge di conversione del Dl Carceri firmata ieri da Mattarella.
Il “nuovo” peculato è certamente ritenuto utile dal Quirinale, ma, arbitrariamente, si è ritenuto fosse indispensabile, dal punto di vista del Presidente, per tamponare la falla aperta con la soppressione dell’abuso d’ufficio. È da escludere l’idea di un congelamento di quest’ultima norma operato dal Colle per fare in modo che l’Italia non restasse neanche un giorno non solo priva dell’articolo 323 ma anche sguarnita del peculato per distrazione. Non è così: la presidenza della Repubblica lo ha ribadito.
Ciò non toglie che il governo, e il ministro Nordio in particolare, abbiano fatto, sull’abuso d’ufficio, una scelta politicamente impegnativa. In tempi non sospetti, su queste pagine abbiamo riportato il giudizio non scontato e perplesso di giuristi del valore, e della convinzione garantista, di Vittorio Manes, che non escludevano il rischio di veder avanzare, nell’azione penale, ipotesi aggravate pur di perseguire condotte altrimenti non più punibili per abuso d’ufficio. Sul Dubbio abbiamo detto di comprendere come il governo abbia provato a forzare, sull’addio al 323 del codice penale, anche nell’ottica di rimuovere una parte degli ostacoli agli investimenti stranieri privati in Italia e alla realizzazione delle opere pubbliche. Una forzatura, dunque, funzionale a un’accelerazione di sistema negli ultimi due anni di attuazione del Pnrr.
Si può aggiungere che certamente la politica criminale può essere fatta di forzature. È questo il caso, certo, ed è chiaro che il governo intende impegnarsi per cambiare le cose su un altro versante, in parte affrontato dal ddl Nordio ma ancora bisognoso di modifiche: l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare. Anche per le indagini sulla politica, come si è manifestato nell’inchiesta su Giovanni Toti. Qui l’azzardo incrocerà resistenze non solo nella magistratura ma soprattutto nell’opinione pubblica, e nella retorica del “favore ai colletti bianchi” già pronta ad azionarsi. Una contraerea che puntualmente interviene, ogni volta in cui si toccano snodi cruciali dell’equilibrio tra garanzie e giustizia, soprattutto se c’è di mezzo la politica.
Va bene: il Dubbio seguirà questi tentativi che il guardasigilli intende condurre, come annunciato due giorni fa, anche attraverso il prezioso consiglio del Capo dello Stato. Ma se davvero Nordio vuole riformare la carcerazione preventiva non solo per scongiurare il presentarsi di nuovi “casi Toti” ma anche per contrastare il sovraffollamento, allora sarebbe giusto attendersi anche qualcos’altro, sul carcere.
Sull’immane tragedia quotidiana delle prigioni, indegna di un Paese civile, non si può intervenire, evidentemente, solo con la riforma della custodia cautelare, che evidentemente non sarà introdotta per decreto (non sarebbe costituzionalmente sensato, visto che un decreto Carceri è stato appena convertito definitivamente in legge, e visto anche che pensare di poter rispondere all’emergenza dei suicidi con una riforma penale “di sistema” sarebbe bizzarro). Sulla carcerazione preventiva ci si dovrà adattare ai tempi di una legge ordinaria. Lunghi, per quanto la maggioranza possa pensare di investire sul dossier.
A un governo che sulla giustizia procede tra scelte forti - come lo stop all’abuso d’ufficio -, coraggiosamente garantiste - come sulle intercettazioni, comprese le modifiche inserite nel sottovalutato decreto 105 - e a volte decisamente elusive, come sul decreto Carceri, sarebbe lecito chiedere una determinazione più costante. Innanzitutto rispetto alla sofferenza disumana inflitta ai condannati in virtù di un sistema indegnamente carcerocentrico.
Riformare, d’accordo. Ma senza lasciarsi dietro le spalle vuoti che prima o poi rischiano di inghiottire tutti come una voragine. Non tanto perché possa arrivare la condanna sollecitata da Roberto Giachetti e Nessuno tocchi Caino con il loro esposto, ma perché prima o poi le morti in galera potrebbero smettere di alimentare l’insaziabile crudeltà dei manettari e cominciare a squarciare quel velo dietro il quale sembra nascondersi da anni il senso di pietà degli italiani.