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di Laura Liberto*

huffingtonpost.it, 11 febbraio 2023

Le soluzioni normative proposte disegnano un sistema articolato sulle case famiglia protette come soluzione principale, sia in fase cautelare che di esecuzione della pena, lasciando in piedi il ricorso alla custodia o detenzione in istituto a custodia attenuata soltanto in via residuale, per i casi più gravi.

Proprio in questi giorni la giornalista Francesca Fagnani ha portato sul palco di Sanremo un bellissimo monologo scritto insieme ai ragazzi del carcere minorile di Nisida: “Non tutte le parole sono uguali, per arrivare su questo palco ci sono parole che devono abbattere muri, pareti, grate e cancelli chiusi a tripla mandata”, esordiva così la giornalista che ha portato all’attenzione degli spettatori un universo, quello penitenziario, che solo a singhiozzo catalizza l’attenzione pubblica. Lo fa quando esplodono emergenze, come, da ultimo, quella del numero elevatissimo dei suicidi, quando arrivano i pesanti richiami delle istituzioni europee per le condizioni di intollerabile sovraffollamento delle strutture, o se emergono episodi di efferata violenza sui detenuti consumati tra le mura, quando si promuovono battaglie estreme, combattute immolando il corpo e la vita, per la tutela dei diritti umani di chi è sottoposto al regime detentivo speciale del 41 bis.

Esiste, in quell’universo, un paradosso gravissimo che, pur consumandosi da anni, difficilmente assurge agli onori della cronaca: quello dei bambini reclusi.

La presenza di bambini costretti a trascorrere i primi anni di vita negli istituti penitenziari assieme alle madri detenute è una contraddizione inaccettabile del nostro sistema; un paradosso finora irrisolto ed incredibilmente trascurato, sul quale negli ultimi anni come Cittadinanzattiva ci siamo impegnati, in sinergia con altre organizzazioni, per richiamare l’attenzione pubblica e delle istituzioni e per formulare e sollecitare l’adozione di soluzioni di sistema idonee a risolverlo definitamente. Ciò nella convinzione che la tutela della salute psicofisica dei bambini debba prevalere su ogni altra ragione o interesse pubblico e debba costituire il principale, se non l’unico, criterio guida per la costruzione di misure dedicate.

È oramai dimostrato che i piccoli che crescono in carcere ricevano danni profondi sul piano dello sviluppo psicofisico, dai problemi nella deambulazione (visto che sono abituati a muoversi dentro spazi ristretti), a ritardi nella articolazione della parola, ad una serie di difficoltà nello sviluppo delle relazioni con gli altri, nella socializzazione, fino all’attaccamento morboso alla madre per poi subire il trauma ulteriore e profondissimo del distacco improvviso da essa, quando raggiungono i limiti di età previsti dalla legge.

Secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, aggiornate al 31 dicembre scorso, sono 16 le madri e 17 i bambini che risultano ristretti negli istituti penitenziari, tra sezioni nido delle case circondariali e gli ICAM. Il dato numerico sui piccoli reclusi oscilla nel tempo, dai primi anni del 2000 non è mai sceso al di sotto delle 10 presenze per toccare, in alcuni momenti, il picco massimo delle 50.

Se è vero, dunque, che quando si parla di bambini in carcere parliamo sempre di piccoli numeri, è innegabile che le ridotte dimensioni del fenomeno non possono ridimensionare la gravità dell’incarcerare l’infanzia. E anzi, rendono ancor più contraddittorio e sorprendente il fatto che nel tempo non si siano approntate soluzioni decisive per superarlo.

D’altra parte, sono trascorsi ben 12 anni dall’ultimo intervento legislativo in materia, la novella del 21 aprile 2011 n. 62, che nell’ottica della salvaguardia del rapporto tra detenute madri e figli minori, ha configurato un circuito penitenziario cosiddetto a “custodia attenuata”, dedicato alle madri con figli al seguito -e in via residuale anche ai padri- con l’istituzione degli Icam e, al contempo, ha istituito le case famiglia protette quali luoghi idealmente alternativi al carcere, di esternalizzazione della detenzione dei genitori che devono accudire i figli.

Una delle contraddizioni più macroscopiche di quella legge riguarda il vincolo economico relativo alle case famiglia protette, da realizzarsi senza oneri a carico dello Stato. Ciò ne ha evidentemente impedito l’implementazione, tant’è vero che nell’arco di più di un decennio si sono sviluppate soltanto due esperienze su tutto il territorio nazionale: una casa famiglia Roma ed una a Milano.

La soluzione prevalente è rimasta quella della carcerazione di madri e bambini, all’interno degli istituti penitenziari oppure negli Icam, che restano pur sempre istituti di detenzione; di fatto, pertanto, le esigenze cautelari o la pretesa punitiva nei confronti degli adulti sono rimasti finora prevalenti rispetto alla tutela del benessere psicofisico dei bambini, nonostante le molteplici indicazioni e gli obblighi sanciti sia a livello internazionale che costituzionale sulla preminenza da riconoscere al superiore interesse del fanciullo rispetto ad altre ragioni di natura pubblica.

Su queste contraddizioni finora irrisolte ci siamo impegnati nella formulazione e richiesta di soluzioni concrete e di sistema, attraverso la campagna L’infanzia non si incarcera! ed in una proficua ed intensa collaborazione con Paolo Siani e gli altri Deputati che, nella scorsa legislatura, hanno lavorato a una proposta di legge, tesa proprio a rimuovere quegli ostacoli, di natura giuridica ed economica, che continuano a produrre nuovi ingressi di bambini in carcere al seguito delle madri. Ora, quella stessa proposta, che, nonostante l’approvazione della Camera dei Deputati, non ha potuto completare l’iter di approvazione in seguito alla caduta del governo Draghi, è stata ripresentata nella legislatura corrente ed ha ottenuto in Aula la deliberazione d’urgenza e la possibilità di essere esaminata con celerità.

Come abbiamo avuto modo di evidenziare in occasione di un’audizione presso la Commissione Giustizia della Camera tenutasi la scorsa settimana, il testo - che ricalca integralmente i contenuti della proposta di legge Siani e raccoglie buona parte delle nostre sollecitazioni - riconosce centralità alla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori e si pone nella prospettiva indicata a più riprese dalla Corte Costituzionale e dalle convenzioni internazionali: la protezione del superiore interesse del fanciullo, della salute psico-fisica dei minori, di cui la tutela del legame genitoriale è parte integrante e fondamentale in particolare nei primi anni di vita.        

In quest’ottica, le soluzioni normative proposte disegnano un sistema articolato sulle case famiglia protette come soluzione principale, sia in fase cautelare che di esecuzione della pena, lasciando in piedi il ricorso alla custodia o detenzione in istituto a custodia attenuata soltanto in via residuale, per i casi più gravi. Inoltre, il provvedimento impegna il Ministero della Giustizia a stipulare convenzioni con gli enti locali per individuare le strutture idonee ad ospitare le case famiglia protette ed interviene a rimuovere i limiti economici (quel “senza oneri per lo Stato”, contenuto nella legge 62/2011) che finora hanno impedito la nascita del sistema delle case famiglia.

Già con un emendamento da noi proposto ed approvato con la legge di bilancio per il 2021, si era ottenuto l’istituzione di un fondo triennale, di 4,5 milioni di euro, dedicato al finanziamento dell’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia. Ora, le misure contenute nella proposta di legge all’esame della Camera prevedono di stabilizzare quel finanziamento affinché si costruiscano le condizioni concrete e stabili per la realizzazione del sistema delle case famiglia per l’accoglienza delle mamme detenute con i loro bambini. Ci auguriamo sia la volta buona per abbattere anche questo muro e far sì che, attraverso un iter parlamentare speriamo rapido, questa opportunità non venga nuovamente sprecata, e si dimostri finalmente - come si dichiara nella relazione introduttiva della proposta di legge - la volontà di “intervenire a difesa dei bambini innocenti che si trovano a vivere chiusi tra le sbarre di un istituto di pena”.

*Coordinatrice nazionale Giustizia per i diritti - Cittadinanzattiva