sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giovanna De Minico

Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2023

Perché una persona ha diritto a essere giudicata da un giudice? Risposta: perché ognuno di noi ha fiducia solo nel suo simile. Così i nobili si sottrassero al giudizio del Re pretendendo con la Magna Charta di essere sottoposti a quello di un loro pari. Vediamo allora cosa può fare l’intelligenza artificiale, una volta entrata in un tribunale: intervenire a fianco del giudice o in sua vece? Anche se la chiamiamo intelligenza, manca proprio di quelle facoltà cognitive e di giudizio che assistono la mente umana.

Opera, non secondo valutazioni causali, ma su accostamenti di parole, che statisticamente seguono quelle che le hanno precedute e a loro volta anticipano quelle che verranno. Essa riproduce per l’avvenire quanto è accaduto in passato secondo una ricorsività della storia che la condanna a un irreale immobilismo e impedisce al diritto di seguire il cambiamento della realtà. L’interpretazione evolutiva, quella del giudice che assicura l’aderenza della norma ai fatti, non altera la espressione letterale della norma pur conseguendo l’effetto di assegnarle un significato dinamico.

Senza considerare che anche il mito dell’infallibilità dell’I.A. cade a pezzi dinanzi agli algoritmi zeppi di discriminazioni pescate a strascico in rete. È a tutti noto il caso dell’algoritmo Compass, che aveva assegnato a un imputato di colore un punteggio di recidiva solo in base alla propensione criminale della sua gente, rivelatasi poi errata alla luce degli accertamenti dei reati effettivamente commessi dai neri. Quindi, il giudice robot ci assicura che ciò che è stato deciso finora varrà anche in futuro con buona pace per l’evoluzione dell’interpretazione, mortificata a un computo metrico, e ci assicura anche che gli errori del passato si ripeteranno in futuro negando alla persona capacità di redenzione e presunzione di innocenza.

Di contro ci offre una prestazione di garanzia: ciascuno di noi sarà trattato nello stesso modo di chi condividerà le nostre medesime condizioni. Domanda: perché temiamo che la discrezionalità del giudizio umano sia cedevole ai favoritismi e incline alle punizioni ingiuste, mentre riponiamo cieca fiducia nell’automatismo della mente meccanica come in un verdetto incontrovertibile? Niente può dimostrare la fondatezza delle seguenti equazioni: giudice=parzialità; I.A. =imparzialità. Anzi la posizione costituzionale di autonomia del giudice rispetto alle parti, ai suoi colleghi e agli altri poteri dello Stato rappresenta la garanzia oggettiva nel processo dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

Eppure, nonostante il verdetto di un cervellone meccanico sia oscuro nei ragionamenti, difficilmente replicabile in giudizio e imperscrutabile alla mente umana, ci farebbe fare sonni tranquilli. Ma si è sereni solo se quanto verrà deciso su di noi, è il risultato di un criterio razionale di valutazione dei fatti, capace di tenere conto delle particolarità del caso concreto, ed elastico nel soppesare secondo proporzionalità pro e contro di una decisione al fine di scegliere la misura, tra quelle indicate dalla norma, più aderente ai fatti e più compatibile con la coesistenza di interessi antagonisti. Ebbene, questa opera di confronto e comparazione in vista di un equilibrio minimamente sacrificante e conforme al diritto è l’esito riservato al pensiero umano, non anche all’accadere meccanico secondo un giudizio di probabilità.

Allora le porte del processo sono sbarrate all’I.A.? No, ma semichiuse: si aprono solo per accertare i fatti, aiuto questo, da valorizzare ai fini istruttori, su cui il giudice conserva il ruolo di dominus di ultima istanza. Non esistono prove dotate di infallibilità, il che esclude il ricorso a quelle tecniche neuronali - macchina della verità, elettroencefalogramma e simili - che visualizzano all’esterno i nostri movimenti cerebrali. Non solo perché non si può scavare nel foro intimo per cercare ciò che la persona vuole tenere per sé, ma perché davanti al giudice le significazioni precostituite si sbriciolano come un castello costruito sulla riva del mare.

Queste porte sono invece chiuse se l’I.A. volesse anche solo sostenere il momento valutativo del giudice, in quanto, entrato mel processo l’albero di Natale con le sue lucine, sarebbe difficile per il giudice resistergli e mantenere il suo giudizio indenne dal suggerimento intelligente, perché brilla come luce vera. Se tracciamo questa corretta linea di confine tra aiuto meccanico e mente umana l’ingresso dell’I.A. nel processo può essere di ausilio al giudice, ma non operare in sua vece. Penso che la persona abbia diritto, non ad appagamenti illusori, automatici e discriminatori, ma a una giustizia ragionevole, evolutiva e secondo diritto.

*Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Università Federico II di Napoli