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di Alessia Candito

La Repubblica, 22 giugno 2023

Intervista a Juan Fernando Lopez Aguilar, presidente della commissione Libertà civili di Strasburgo: “La situazione nell’isola è inaccettabile, l’onere della gestione dei flussi non può ricadere solo sui Paesi di arrivo”. “Il bilancio di questa missione? Una sfida. La situazione qui a Lampedusa è banalmente non accettabile e non solo vogliamo cambiarla, ma ribaltarla”.

Incontri con le ong che si occupano di soccorso in mare e assistenza a terra, interlocuzioni con Croce rossa, Guardia costiera, Finanza, prefettura di Agrigento, Comune. E poi, un naufragio costato almeno sei vite - inclusa, dicono i testimoni, quella di un bimbo - che di tutte le parole ascoltate è la ricaduta più drammatica e quasi quotidiana. Al termine della missione della commissione Libertà civili del Parlamento europeo a Lampedusa, il presidente Juan Fernando Lopez Aguilar è netto: “Manca la solidarietà, la rete e la scala europea di risposta. Dobbiamo assicurare un bilanciamento fra responsabilità condivisa e solidarietà vincolante e obbligatoria”.

In concreto, cosa significa?

“L’onere della gestione dei flussi non può ricadere solo sui Paesi e i luoghi di primo accesso, come alcune isole greche, Lampedusa o le Canarie. Per rispondere all’emergenza non bastano fondi specifici, sono necessari anche trasferimenti non solo all’interno dello stesso Stato, ma di tutta la Ue, coordinati dalla Commissione. È urgente poi costruire canali sicuri e legali”.

Ha ancora senso parlare di emergenza a Lampedusa?

“Sì, nella misura in cui in quest’isola, come in altri luoghi di frontiera, la situazione non è gestibile secondo le regole previste dal trattato di Lisbona e in tempi consoni”.

Da gennaio ci sono state più di mille vittime di naufragi. L’Europa sta facendo abbastanza?

“Assolutamente no, bisogna fare meglio e di più, e soprattutto agire a livello europeo. C’è quasi una tragedia a settimana, con un bilancio di morti inaccettabile, e in ogni lingua dell’Unione sentiamo promettere “mai più”. Ci vuole un nuovo approccio e serve un programma europeo di ricerca e soccorso”.

Partiamo dal primo punto...

“Chi affronta il mare non fa una gita, sa di mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari. Le migrazioni sono un fenomeno umano e strutturale, bisogna far comprendere che non sono una minaccia, che l’obiettivo non può essere respingere. La Guardia costiera greca che traina un barcone pur di allontanarlo dalle proprie acque nazionali mostra il problema nel modo più crudo. Questa è una sfida europea e si vince solo con una solidarietà condivisa”.

Secondo punto: programma europeo di ricerca e soccorso. Una nuova “Mare nostrum”?

“Assolutamente sì, con il coinvolgimento di tutte le agenzie, un coordinamento e un commissario europeo”.

Che ruolo avrebbero le ong?

“Hanno un ruolo umanitario fondamentale che non può essere sottovalutato o disprezzato. Meritano il rispetto e, se possibile, l’appoggio istituzionalizzato della Ue. E non bisogna criminalizzare né perseguire legalmente chi fa soccorso in mare”.

In che misura, dunque, i decreti Cutro e Piantedosi sono compatibili con la legislazione europea?

“Posso dire che dal trattato di Lisbona in poi c’è un diritto europeo vincolante e nessuno Stato membro può assumere decisioni unilaterali senza affrontare la Commissione, che è “guardiana dei trattati”, ed eventualmente procedure di infrazione, sanzioni, multe o sentenze vincolanti della Corte europea di giustizia”.

Il nuovo patto su immigrazione e asilo sembra puntare molto sulle cosiddette “riammissioni” anche in Paesi terzi...

“Ci sono Paesi ossessionati dalle riammissioni, ma questo strumento è solo una parte dell’equazione e non la principale. Di certo è impensabile che avvengano in Paesi non sicuri e senza garanzie democratiche”.

La Ue ha aperto le porte a milioni di rifugiati ucraini. Perché questa soluzione non è mai stata immaginata per altri?

“La Ue ha accolto 11 milioni di ucraini e 4 sono rimasti. E non è stata logorata, al contrario. Ciò dimostra che il modello funziona e deve essere esteso”.

Crede sia possibile?

“Nell’Europarlamento ci sono sensibilità e orientamenti diversi. Il dossier Immigrazione è uno dei più divisivi. Ma c’è una maggioranza convinta che la soluzione possa essere solo europea nei valori, nell’adempimento del diritto internazionale umanitario e nella scala di risposta”.