di Vincenzo Nigro
La Repubblica, 23 settembre 2019
Le parole di Rouhani arrivano dopo gli attacchi iraniani e la reazione americana. Trump replica facendo sapere che non intende incontrarli, pur sottolineando che il suo atteggiamento rimane "flessibile".
Una parata militare che l'Iran mette in piedi ogni anno, per ricordare i "martiri" della guerra con l'Iraq degli anni Ottanta. Una lunga sfilata di soldati, di carri amati e missili, ma soprattutto di quella guerra che venne scatenata da Saddam Hussein. Una celebrazione per il regime rivoluzionario che il 21 settembre del 1980 era nato da poco più di un anno, e subito si trovò in guerra.
È stato questo stamane il palcoscenico dal quale Hassan Rouhani ha lanciato gli ultimi avvertimenti, ma anche una nuova proposta diplomatica agli Stati Uniti. Un "piano Rouhani" che il presidente (in Iran è il capo del governo) presenterà ufficialmente la settimana prossima alle Nazioni Unite. La creazione di un meccanismo per provare a regolare politicamente i contrasti e le rivalità nella regione del Golfo.
Non è chiaro se la mossa sarà efficace, se sarà possibile prenderla in considerazione, non è chiaro neppure se questo gesto sarà accolto semplicemente come un colpo di propaganda. Oppure se arriverà troppo tardi. Ma Rouhani ci prova. Allo stesso tempo lui e i suoi ministri continuano a lanciare avvertimenti, anche minacce di devastazioni militari di vario tipo. Come dice il capo dei pasdaran Salame, "se ci saranno nuovi attacchi militari contro di noi, la risposta sarà generalizzata".
Il "Piano Rouhani" è qualcosa di cui da anni si è discusso inutilmente: l'idea è di mettere al tavolo tutte le potenze regionali, prevedibilmente assieme agli Stati Uniti ma anche con la Russia e la Cina, e provare a "dividere la torta" del Golfo, per garantire che lo scontro finale fra Usa e Iran sia scongiurato.
Il momento è delicatissimo: il 14 settembre il più importante impianto petrolifero saudita e il più grande pozzo petrolifero sono stati attaccati da una flotta di 10 droni e alcuni missili da crociera. Un'operazione talmente sofisticata da far pensare agli iraniani, non ai ribelli houthi dello Yemen. Da allora la crisi è entrata in una dimensione diversa.
Rouhani oggi ha detto che "la presenza di forze straniere nella regione, col pretesto che si occupano della sicurezza, ha portato solo insicurezza e disgrazie". Il riferimento è agli Usa, alla V Flotta che ha basi in Bahrein, nel Qatar e in Oman. "I nemici hanno iniziato diversi tipi di guerra, inclusa quella psicologica ed economica, e di recente hanno cominciato a minacciare un conflitto militare per creare problemi al popolo iraniano", ha proclamato Rouhani di fronte a migliaia di militari in formazione: "Ma noi non ci arrenderemo, ci difenderemo e fermeremo ogni tipo di aggressione sul nostro territorio".
Nel frattempo, l'orologio della guerra continua a girare: il 14 giugno sono stati attaccati gli impianti petroliferi di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita. Tutto lascia pensare che siano stati gli iraniani, che hanno la capacità militare di pianificare e portare al successo un'operazione così complessa, centinaia di chilometri all'interno dei confini sauditi. Questo ha lasciato sauditi e americani paralizzati: si sono scoperti indifesi, dovrebbero reagire, ma se reagiranno il barile di polvere potrebbe esplodere e dare fuoco a tutto il Golfo Persico.
Rouhani ha insistito difendendo la linea dell'Iran che nega ogni responsabilità in quell'attacco: "Noi non siamo di quelli che violano i confini di altre nazioni (riferimento a Israele? ndr), così come non permetteremo a nessuno di violare i nostri".
Alla parata militare i generali del pasdaran hanno fatto sfilare i loro migliori sistemi militari: c'era anche il Bavar-373, che secondo gli iraniani è un sistema antiaereo capace di eguagliare il russo S-300 che Putin ha appena venduto alla Turchia di Erdogan. Con i missili di difesa, c'erano anche i droni, gli aerei senza pilota che potrebbero aver colpito l'Arabia Saudita: con l'attacco del 14 giugno, il Golfo si è svegliato e ha compreso che nella regione c'è "qualcuno" perfettamente in grado di portare attacchi militari molto complessi.
I sauditi ne sono certi, l'attacco è iraniano, e sabato lo ha ripetuto il ministro degli Esteri aggiunto dell'Arabia Saudita, Adel Al Jubeir: "Se le indagini finali proveranno la responsabilità diretta dell'Iran questo verrà considerato come un atto di guerra, dice l'ex diplomatico.
"Riteniamo l'Iran responsabile, perché i missili e i droni che sono stati lanciati contro l'Arabia Saudita erano costruiti e commissionati dall'Iran", ha detto Jubeir alla Cnn. "Ma lanciare un attacco dal proprio territorio, se è questo il caso, ci mette in una posizione diversa, sarebbe considerato un atto di guerra". Come dire, la differenza la fa la base di partenza da cui sono partiti i missili che comunque sono iraniani.