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di Armando Spataro

La Stampa, 29 novembre 2023

Da Berlusconi a Meloni, spesso i premier hanno cercato di conformare i giudici alla linea del governo. Ma solo attraverso una corretta dialettica tra istituzioni indipendenti ci sarà equilibrio tra i due poteri. La linea d’ombra, nello splendido romanzo di Joseph Conrad, divide la giovinezza dalla maturità dell’età adulta del protagonista che alla fine, con l’aiuto del cuoco della nave che comanda, riesce a superarla. Di fronte a certe prese di posizione di buona parte della politica italiana nei confronti della magistratura mi ritorna in mente quella linea che in questo caso, però, diventa un muro che separa in modo insuperabile disconoscimento e rispetto dei principi costituzionali. E sembra che ogni aiuto sia inutile perché rimane ferma la convinzione che la magistratura sia un “ordine” sottoposto alla politica e non uno dei tre poteri indipendenti su cui si fonda ogni democrazia: lo dissero in tv anche due ex ministri della Giustizia (Alfano e Castelli) nel 2011, mentre Silvio Berlusconi contestò la possibilità di un magistrato, semplice funzionario dello Stato e vincitore di un pubblico concorso, di incriminare ed eventualmente condannare chi, eletto dal popolo, è legittimato a governare il Paese. Le citazioni potrebbero continuare saltando dal 1940, allorché Mussolini, nel corso della inaugurazione dell’anno giudiziario a Palazzo Venezia (e non in Cassazione), dinanzi a duecentocinquanta alti magistrati schierati in uniforme del Partito nazional fascista, affermò che nella sua concezione non esisteva una divisione di poteri nell’ambito dello Stato poiché “il potere è unitario.”. Insomma i magistrati si conformino alla linea politica di chi governa ed evitino di criticarne i contenuti, pur se riguardanti la giustizia: persino Matteo Salvini, quando era ministro dell’Interno, a proposito dei rilievi della magistratura in ordine alle pessime leggi in materia di immigrazione, lesive dei diritti fondamentali delle persone e generatrici di xenofobia, invitò i giudici ad applicarle evitando interpretazioni sgradite alla maggioranza salvo “scendere in politica” se avessero avuto rilievi da formulare. Insomma, solo in politica si può discutere delle leggi in fase di elaborazione o dopo la loro approvazione.

Fortunatamente, però, la storia della giustizia nel nostro Paese, pur costellata di numerose “deleghe” conferite nel tempo alla Magistratura (e ieri ben ricordate da Gian Carlo Caselli su questo quotidiano), ha conosciuto anche momenti di felice ed utile interlocuzione tra politica e giustizia, come quella con il grande Ministro dell’Interno Virginio Rognoni ai tempi degli anni di piombo e, anche in tempi più recenti, con diverse maggioranze di governo in occasione di molte riforme approvate.

Ma tornando all’attualità, si può affermare che le parole del Ministro Crosetto, nonostante irrilevanti tentativi di aggiustamento, abbiano a che fare con una corretta dialettica tra istituzioni? Che senso ha affermare di avere saputo - senza citare da chi (quasi fosse una notizia di fonte confidenziale tutelabile da un ufficiale di polizia giudiziaria) - che una fazione antagonista della magistratura, che ha sempre affossato i governi di centrodestra, starebbe discutendo su come fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni, temendo che quell’opposizione giudiziaria possa mettere a rischio il governo alla vigilia delle elezioni europee ? Una parte della magistratura, cioè, viene attinta dal sospetto di stare elaborando una sorta di golpe attraverso inchieste giudiziarie. Sembra di tornare ai tempi andati e ad autorevoli precedenti di fake news, quali, ad es., le polemiche verso i “pretori d’assalto” attivi nella tutela dell’ambiente, contro i magistrati che si occupavano di corruzione (in Parlamento è stata chiesta anche recentemente la istituzione di una commissione d’inchiesta su “Mani Pulite”) e di antimafia, solo - però - quando si iniziò ad indagare sulla cd. “zona grigia”. Per non parlare delle accuse al Csm di essere “un’istituzione bolscevica”, ed alla Corte Costituzionale di essere “composta in maggioranza da giudici di sinistra.”

La Associazione Magistrati - che fu capace di autosciogliersi durante il fascismo - ha risposto sobriamente alle parole del Ministro Crosetto chiedendo alle altre istituzioni serietà, equilibrio e continenza al fine di garantire la indipendenza della funzione giurisdizionale. È proprio questo il punto cui prestare attenzione, mentre è del tutto fuor di luogo citare criticate sentenze emesse in anni lontani o vicini, così come i vizi di taluni magistrati, che certamente esistono, quali eccesso di moralismo, aspirazione ad enfatizzare il proprio ruolo o ad attribuirsi anche quello di storico che non compete loro. Ma queste ed altre criticità connesse alle c.d. deviazioni correntizie riguardano un’esigua minoranza, sicché non possono essere generalizzate né utilizzate per adombrare l’esistenza di complotti della magistratura contro le maggioranze di Governo. O preferiamo un ritorno al futuro come quando il 5 dicembre del 2001, il Senato approvò, a maggioranza, una mozione in cui si denunciavano riunioni clandestine tra giudici e pm per trovare il modo di violare la legge sulle rogatorie? E così nacque l’epoca delle leggi ad personam.

Allo stesso modo, però, non è possibile partire da accertate condotte criminose di alcuni parlamentari e uomini di governo in passato condannati per generare sfiducia nei confronti dell’alta funzione di guida politica del Paese. Tornano ancora una volta d’attualità, piuttosto, le recenti parole del Capo dello Stato che chiuse il proprio intervento di celebrazione dei 75 anni dalla entrata in vigore della Costituzione ricordando che essa “è la guida del nostro agire, fissando principi, valori irrinunziabili, diritti inviolabili… è un patrimonio comune che si è arricchito nel tempo grazie a una larga condivisione. È l’architrave dell’ordinamento giuridico che sostiene il nostro modello sociale”.

Le sentenze e le iniziative dell’Autorità Giudiziaria, dunque, possono essere civilmente criticate, al pari di iniziative legislative in discussione o di leggi approvate. Ma nulla - assolutamente nulla - può intaccare i principi costituzionali della soggezione soltanto alla legge dei giudici, che sono e devono essere indifferenti a logiche e programmi di governo, e quello della obbligatorietà dell’azione penale che non può essere condizionata da scadenze elettorali o equilibri politici. Sono principi che rafforzano l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sottraggono il pm all’esecutivo e realizzano una netta caratterizzazione positiva del sistema italiano rispetto ad altri sistemi esistenti in ambito europeo. Né - sia consentita la battuta - può ipotizzarsi una loro “sospensione” in prossimità di scadenze elettorali, così da evitare pregiudizi a partiti e candidati.

Sono stati molti i commentatori che, con riferimento alle dichiarazioni del ministro Crosetto, di cui si sono chiesti la ragione, hanno parlato di un ritorno alle “guerra dei trent’anni” tra politica e magistratura. Quello di una guerra o di uno scontro tra poteri dello Stato, anzi, è diventato lo spot da trasmettere alla pubblica opinione per rappresentare la magistratura come un’istituzione orientata non da obblighi costituzionali, ma da finalità politiche. Cosa ci si può augurare allora, al di là dell’impegno della società civile per sapere, conoscere e tenersi lontana dal diffuso populismo che ormai ben conosciamo? È difficile essere ottimisti se solo si guarda alla deriva verso il sovranismo che affligge gran parte del mondo, ma personalmente - e forse con ingenuità - intendo fare mie le parole del defunto giurista inglese Lord Bingham of Cornhill KG, che nel 2006 affermò: “Alcuni rappresentanti della stampa, dotati del dono della sobrietà, hanno parlato di guerra aperta tra governo e potere giudiziario. Questa, secondo me, non è un’analisi precisa. Ma è vero che esiste un’inevitabile e, a mio parere, assolutamente giusta tensione tra i due. Esistono al mondo paesi in cui tutte le decisioni dei tribunali incontrano il favore del governo, ma non sono posti dove si desidererebbe vivere”. Perché nessuno vorrebbe vivere in questi paesi? Perché sono paesi che vedono il potere giudiziario obbediente e prostrato sotto il trono ove siede il potere politico imperante. Insomma, meglio invocare una “giusta tensione” tra i due poteri piuttosto che, attraverso auspici ormai surreali, un clima definitivamente e totalmente pacificato. Infine, perché accade quel che vediamo in questi giorni? Ignoro se ciò dipenda da fatti ancora sconosciuti come qualcuno sostiene. A me sembra che sia più che sufficiente la comodità di un trono per l’occupante inamovibile.