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di Federica Olivo

huffingtonpost.it, 4 febbraio 2023

Meloni la racconta a metà, per cui la raccontiamo per intero noi: prima di essere graziato da Cossiga, fu ripetutamente condannato per renitenza alla leva. E così una legge senza senso venne dichiarata incostituzionale. “Nel 1991 lo Stato lo ha graziato ed è andato a sparare a della gente”, ha detto ieri la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parlando di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da 106 giorni, contro il 41 bis.

La premier, nel tentativo di legittimare la linea durissima del governo sul carcere duro al detenuto, trasferito pochi giorni fa al carcere di Opera, ripesca un episodio di cui in effetti ancora nessuno aveva parlato. Nei primi anni Novanta, Cospito - che aveva poco più di 20 anni e già una prima condanna alle spalle - fu condannato per un comportamento che al tempo era reato, ma per cui oggi non sarebbe mai arrivato neanche a processo. Siccome aveva iniziato a non alimentarsi, il padre chiese la grazia al presidente della Repubblica, il quale - ai tempi c’era Francesco Cossiga - la concesse, nel dicembre 1991. Tutto vero, dunque, anche se pare evidente che le parole di Meloni siano del tutto strumentali: non esiste, infatti, alcun nesso tra una grazia concessa a un 24enne, più di 30 anni fa, e il 41 bis cui è sottoposto mentre è in carcere per reati, ben più gravi, commessi quasi vent’anni dopo.

Quello che, però, la presidente del Consiglio non racconta è perché Cospito fosse in carcere nei primi anni Novanta. Soprattutto, Meloni non racconta che quel caso è finito davanti alla Corte costituzionale e, come si dice in giuridichese, ha fatto scuola. E, in un’epoca in cui esisteva ancora la leva obbligatoria, ha fatto togliere dall’ordinamento una legge quantomeno bizzarra. Cospito, infatti, era a giudizio a causa di una legge che stabiliva che, se una persona non ottemperava alla leva obbligatoria, ma non faceva neanche obiezione di coscienza per motivi religiosi, morali o filosofici, doveva essere condannata per “mancanza alla chiamata”. Non solo. Espiata la prima condanna, se non si decideva ad adempiere all’obbligo di servizio militare, né a fare il servizio civile, la stessa persona poteva essere condannata nuovamente - due, tre, dieci volte, fino a quando non si decideva a fare la leva obbligatoria - per “diserzione aggravata”. Si creava, insomma, quella che lo stesso giudice costituzionale aveva definito una “spirale di condanne”. Una spirale lunghissima, che poteva finire solo per ragioni anagrafiche, e cioè quando il “renitente alla leva” avesse compiuto 45 anni e, quindi, l’obbligo fosse venuto meno per ragioni di età.

La storia è singolare. E lo è perché il soggetto che in questi giorni viene considerato una potenziale minaccia, perché condannato per due reati molto gravi - la gambizzazione del manager di Ansaldo Nucleare e un attentato con ordigni a bassa intensità, che non hanno fatto morti né feriti, davanti a una caserma di allievi carabinieri - e perché con il suo sciopero della fame ha dato il via a una serie di proteste contro il 41 bis, che comportano non pochi rischi di ordine pubblico, trenta anni fa aveva contribuito a cancellare una legge dello Stato. Una legge che, a guardarla con gli occhi dell’uomo contemporaneo, pare più surreale che vessatoria. Naturalmente questo contributo è stato dato inconsapevolmente da Cospito, poiché alla Corte costituzionale si può rivolgere solo il giudice e non il singolo cittadino. Ma la coincidenza è ugualmente interessante.

La storia, in sintesi, è questa e si può leggere nelle poche pagine della sentenza numero 343 del 1993 della Corte costituzionale. Il giovane Cospito viene chiamato alla leva - ai tempi obbligatoria - ma non risponde alla chiamata. Già ai tempi, si poteva dichiarare di non voler partecipare al servizio militare obbligatorio per motivi religiosi, morali o filosofici: la cosiddetta obiezione di coscienza. Fuori da questi casi, se non andavi alle armi, la galera era assicurata. Cospito però, già anarchico, dichiara, “di non sentirsi vincolato in coscienza dal dovere di prestare il servizio militare o altro servizio alternativo”. I motivi politici non erano contemplati nella legge come ragione di esonero dalla leva e, in ogni caso, chi diceva no alla naja era obbligato a spiegare il perché e avrebbe comunque dovuto fare un’attività alternativa di utilità sociale. Cospito non fa né l’una né l’altra e, così, si becca una condanna a un anno per “mancanza alla chiamata”. Ne sconta solo una parte, perché interviene un’amnistia. A quel punto, però, continua a sottrarsi all’obbligo di fare il militare, ed ecco che arriva la seconda condanna, a un anno, nove mesi e dieci giorni per diserzione aggravata. Quando è in carcere per questa seconda condanna fa lo sciopero della fame e viene graziato. Storia finita? Neanche per idea, e non perché l’anarchico pescarese sia andato a sparare, come dice la Meloni - ha sparato vari anni dopo - ma perché una procura lo persegue di nuovo per il fatto che continua a sottrarsi all’obbligo di leva. Cospito viene rinviato a giudizio di nuovo per diserzione e, a quel punto, il suo giudice si rivolge alla Corte costituzionale. Perché? Perché sostiene che la legge secondo cui una persona che non adempie all’obbligo di leva debba essere condannata a ripetizione fino al compimento del quarantacinquesimo anno di età sia incostituzionale. E che il trattamento riservato a chi si dichiara “obiettore totale” sia molto più duro rispetto a chi chiama in causa motivi di morale, filosofia e religione e poi non adempie al servizio civile. La Consulta, del resto, già nel 1991 aveva detto che una pena più grave per gli obiettori totali andava anche bene, ma ciò, sostiene il giudice, che ha fatto ricorso, “non potrebbe comunque portare ad irrogare a un soggetto che rifiuti irriducibilmente di svolgere il servizio militare quella serie di condanne penali così lunga e pesante da poterne distruggere la sua intima personalità umana e la speranza di una vita normale”.

“L’ipotesi di una spietata successione di condanne - si legge nella sentenza, nella parte in cui si spiegano le ragioni del giudice che ha fatto ricorso - per una condotta ontologicamente unitaria di rifiuto assoluto e incondizionato di svolgere il servizio militare appare in contrasto con il principio costituzionale della tutela della coscienza individuale, il quale costituisce esplicazione della protezione dei diritti inviolabili assicurata dall’art. 2 della Costituzione”. Vengono chiamati in causa l’articolo 3, per il principio di uguaglianza, e l’articolo 27 della Costituzione. Quest’ultimo perché, si legge: “La pena, infatti, diviene un trattamento contrario al senso di umanità nel momento in cui tende alla coartazione morale della persona”. Né, continua lo stesso giudice, “può essere ravvisata alcuna finalità rieducativa in una sorta di ‘sfida’ o di ‘prova di forza’ tra la volontà dello Stato e quella dell’individuo, che dovrebbe portare a ‘piegare’ quest’ultima volontà solo dopo averne negato il valore come persona umana”.

Dopo aver fatto una serie di approfondimenti, la Corte costituzionale dice che il legislatore ha fatto un bilanciamento sbagliato, considerando l’obbligo militare più importante della libertà personale, dà ragione al giudice e, di riflesso, a Cospito. Viene, quindi, dichiarata incostituzionale una norma della legge sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza, nella parte in cui “non prevede l’esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di coloro che, avendo rifiutato totalmente (..) la prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da quelli indicati nell’art. 1 della legge n.772 del 1972 o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena della reclusione in misura complessivamente non inferiore a quella del servizio militare di leva”. In altre parole: i mesi di carcere che Cospito avrebbe dovuto necessariamente scontare non avrebbero dovuto essere superiori ai mesi di leva obbligatoria.

Le rimostranze, anche un po’ eclatanti, di un anarchico che non riconosce lo Stato, in quel caso hanno contribuito a migliorare le leggi dello Stato stesso. E chissà che questo schema non si ripeta ancora: difficile, allo stato, che succeda per eventuali modifiche al 41-bis. Potrebbe, però, succedere per il reato di strage aggravata, per cui Cospito è stato condannato - per la vicenda delle bombe davanti alla caserma - all’ergastolo ostativo. La corte d’Appello, invece di confermare quanto stabilito dalla Cassazione - che aveva deciso che il reato di Cospito non era una strage semplice ma una strage per attentare alla sicurezza dello Stato - si è rivolta al Giudice delle Leggi. E gli ha chiesto di stabilire se è costituzionale che per questo reato sia previsto solo ed esclusivamente l’ergastolo. Ed escluse tutte le pene minori. Anche se, come nel caso di Cospito, il reato non causa vittime, né feriti. La Consulta dovrà esprimersi nei prossimi mesi. E chissà che da una storia che al momento ha solo un caleidoscopio di connotati negativi, non venga scritta una nuova pagina per lo stato di diritto. Una pagina bella, in questo caso, perché indirizzata al rispetto della Costituzione.