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di Barbara Stefanelli

Corriere della Sera, 26 gennaio 2024

La promessa degli esordi di internet (il riconoscimento reciproco) travolta dai meccanismi della polarizzazione. Consigli di lunga vita, una piccola lista. I primi sono sull’alimentazione, il movimento, i controlli medici. Il penultimo propone di “ridurre lo stress”. L’ultimo di “aumentare le relazioni sociali”. L’articolo rilancia fiducioso una ricerca sull’ aging, che non dovremmo tradurre con “invecchiamento”. È semplicemente “l’età”, e a quanto pare non stare soli ci salverà. Un utente, che legge la sintesi postata su Instagram, commenta: “Ma se devo aumentare le relazioni, non potrò mai ridurre lo stress!”. Saluta con l’emoji che si sbellica. E un po’ fa ridere, sì, ma l’intuizione è amara, disperante. Siamo sopraffatti dal livore che fluisce/rifluisce sui social network e spesso, come fosse un’attitudine nervosa ormai irriflessa, si fa strada fuori dalla bolla e allaga il mondo che un tempo definivamo “il mondo reale” e oggi pare ridotto a perimetro di giornate tutte digitali.

Le nostre “relazioni sociali”, che secondo gli studiosi dovrebbero proteggerci dalla decadenza, sono diventate in gran parte “connessioni”, membrane di bytes e non di pelle. Spesso ambigue e pericolose come i Gremlins della commedia di Joe Dante del 1984: graziosi animaletti che - se li esponi a una luce forte o li nutri dopo mezzanotte - si duplicano diventando una banda di malvagi fuori controllo. Nel film, le regole per evitarne la mutazione, consegnate dal venditore alla famiglia, si rivelano incerte, incomplete e comunque impossibili da rispettare. Sin dal flash della foto di benvenuto a casa. Quando discutiamo di hate speech, di discorsi di odio e del male che provocano, approdiamo spesso alla conclusione che il problema siamo noi. E non il mezzo. Non i cellulari, la tecnologia, gli algoritmi. Non gli strumenti, bensì l’uso che ne facciamo. Forse anche noi non abbiamo saputo rispettare le regole del venditore?

Nessuno ha avuto il tempo di pensarle, quelle norme e tutele, o anche solo di leggerle quando qualche “comitato etico” - emanazione di modelli di business planetari - si è affannato a buttarle giù, a posteriori, incalzato dai pochi regolatori rimasti in piedi. La verità è che questa volta il mezzo ci sta sovrastando. Perché, dalle guerre alle cose della vita, la polarizzazione è il meccanismo vincente. Ha travolto il riconoscimento reciproco, che era la grande promessa democratica di Internet agli esordi: la possibilità di raggiungerci e rispecchiarci, di mettere insieme informazioni e identità, ovunque, oltre i confini, oltre ogni previsione e immaginazione, navigatori e nomadi.

Il cielo finalmente in una stanza. La rivoluzione dei social, esponenziale, ha creato invece un baratro: tra i competenti, capaci di far combaciare ogni frammento di innovazione, e i disarmati, destinati ad essere trascinati, sacrificati, esposti a nuove forme di vergogna pubblica davanti a folle invisibili. Ora una terza stagione, quella dell’Intelligenza artificiale, già preme e sovverte. Abbiamo bisogno più che mai di “aprire” il mezzo, riflettere sulle regole comuni e i comportamenti individuali, magari chiudere “la prima Repubblica social” - come è stata chiamata - per tentarne una nuova. La soluzione non può essere ricominciare come se non fosse successo nulla. Ma neppure vorremmo battere in ritirata, abbandonando la piazza al rimbombo della Schadenfreude, cioè il piacere per la malasorte degli altri.