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di Damiano Aliprandi

 

Il Garantista, 4 gennaio 2015

 

È un penitenziario dove si lavora la terra e si allevano gli animali: la recidiva è solo del 20%. Il carcere di Gorgona è l'ultima isola-penitenziario italiana, la più piccola dell'Arcipelago toscano, tra le più verdi: pini, lecci, macchia mediterranea e pure una varietà autoctona di olivo. Un carcere dove le celle sono aperte e i detenuti - attualmente circa 70- lavorano la terra e soprattutto allevano gli animali.

Ma rischia di ritornare ad essere una colonia penale perché il Governo - a causa della famigerata "spending review"- vuole vendere i 165 animali da allevamento. Per questo motivo l'amministrazione comunale di Livorno ha inviato il 3 dicembre, una lettera indirizzata ai ministri Orlando e Galletti, e per conoscenza al presidente del Consiglio Renzi, nella quale si chiedeva di bloccare da subito il procedimento di vendita degli animali legati al progetto per la rieducazione dei 70 detenuti del carcere dell'isola di Gorgona.

"Spero che il governo receda da questa scelta", commenta il sindaco Filippo Nogarin. "Tale procedimento inevitabilmente condurrebbe alla fine del progetto e con esso questo carcere modello, molto apprezzato dal ministero degli Interni, rischia seriamente la chiusura. Va da sé che la vendita di questi animali, che hanno consentito ai carcerati d'intraprendere un percorso virtuoso, porterà inevitabilmente alla soppressione degli stessi.

Tutto questo in nome di una spending review nella quale non si tiene affatto conto che per i detenuti che hanno preso parte a progetti di questo tipo, una volta scontata la pena, la percentuale di recidiva è di un quarto rispetto alla media nazionale di chi esce da case circondariali che non prevedono tali percorsi lavorativi".

Nella lettera veniva inoltre richiesta la convocazione di un tavolo di confronto tra amministrazione carceraria ed enti locali, allargato alle Onlus che si battono per i diritti degli animali. Ma ad oggi il Comune non ha ancora avuto nessuna risposta. Eppure gli animali sono considerati i primi educatori per i detenuti che - come ha ricordato un'assistente capo della polizia penitenziaria - arrivano su richiesta dopo aver scontato più della metà della pena.

Hanno la possibilità, oltre a vivere in un contesto di libertà, di imparare un mestiere. Se le statistiche parlano di una recidiva stimata intorno all'80% tra i detenuti che non lavorano, a Gorgona si attesta sul 20%.

Tanto sono le iniziative sviluppate dagli anni 90 - come l'impianto di una vigna che ora, con l'accordo firmato dal precedente direttore Giampiccolo, vede coinvolta l'azienda Frescobaldi e produce il bianco Gorgona - che hanno fatto della colonia penale una sorta di laboratorio verde. L'isola oggi mostra i segni del tempo, i fondi hanno subito una fortissima riduzione ma si cerca di rilanciare progetti, con la collaborazione del mondo di fuori sempre con lo scopo di formare e fare assumere i reclusi. Dopo il vino potrebbe accadere ad esempio con attività legate all'accoglienza sull'isola, dove si potrebbero "riportare le scolaresche come in passato", anche se il grande scoglio rimangono i collegamenti con la terraferma.

Tre intanto sono stati assunti dalla General appalti che sta sostituendo il vecchio generatore elettrico e ripristinando il fotovoltaico. "L'obiettivo - ha spiegato Carlo Mazzerbo, l'attuale dirigente dell'isola - è fare di Gorgona un'isola dei diritti, dello Stato, dei detenuti e anche degli animali", che, al pari degli uomini - aggiunge Marco Verdone, dal 1990 veterinario a Gorgona dove ha introdotto l'omeopatia - "devono avere una vita e una fine degna".

Per questo si punta a eliminare la macellazione, ai fini anche del percorso rieducativo dal punto di vista animalista. Intanto la 'grazià l'hanno avuta Valentina, mucca di 13 anni, e Bruna, scrofa salva grazie ai bimbi di una scuola.

Il modello Gorgona è esportabile? Mazzerbo osserva che "a parte aprire le celle, come ha imposto l'Europa, si vuole dare un contenuto alle giornate detentive". Ovvero "cambiare la prospettiva" di chi è dentro: non più subire il carcere, ma diventare parte attiva di un progetto, responsabilizzando i detenuti.

Tra loro a Gorgona c'è Yang, cinese di Wenzou, che con l'aiuto dell'agronomo di Gorgona Francesco Presti, cura l'orto certificato biologico: ha spiegato che da piccolo accompagnava il padre nelle risaie, ma è la prima volta che "lavora la terra, mi piace".

"Il giorno vola, altra cosa stare tra quattro mura, è sempre un carcere ma è un'oasi", aggiunge Santo, italiano, ancora 6 anni da scontare, addetto alla vigna di cui non ha mai assaggiato il vino: gli alcolici sono vietati. Samir, Jorge e Yassine, nati in Bangladesh, Spagna e Marocco, stanno al caseificio e hanno imparato a fare i formaggi.

Riccarda e Roberto curano gli animali, Benedetto lavora in cantina, si occupa delle api, realizza sculture: in carcere è da 26 anni, ne deve scontare altri 4: "Qui si riassapora la vita". A Umberto, dentro dal 1996, mancano 18 mesi: lavora in vigna ma non sa cosa farà una volta fuori. Del suo vecchio carcere ricorda le urla e la tv sempre accese. L'isola è "altro" ed è contento quando ci sono visitatori, come in occasione della presentazione della nuova vendemmia del vino Gorgona: "Il mondo si accorge di noi, aspettiamo queste giornate per far vedere il carcere in modo diverso, che le persone si possono anche riscattare".

Ma tutto questo rischia di tramontare se il Governo non ritira il provvedimento di vendita degli animali che metterebbe a serio rischio il successo dell'intero progetto di rieducazione che, piuttosto, andrebbe incentivato, valorizzato e diffuso all'intero sistema penitenziario nazionale.