sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Valter Vecellio

lindro.it, 25 agosto 2022

Invece di uscire, aumentano. Per impedirlo, una buona legge c’è: va solo approvata. I dati sono ufficiali, forniti dal ministero della Giustizia, aggiornati al 30 giugno: nelle carceri italiane ben 25 bambini scontano una pena assieme alle loro mamme. A maggio erano 18.

Il Ministro della Giustizia Marta Cartabia in quei giorni aveva promesso un provvedimento per risolvere la questione. E’ rimasto un buon proposito. Nei ‘cassetti’ del Parlamento ‘riposta’ una proposta di legge di Paolo Siani (il fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra), per istituire case famiglia protette; ha ricevuto il via libera della Camera, poi la crisi del governo Draghi e lo scioglimento delle Camere ha fermato tutto.

Giorni fa è sceso in campo anche l’Osservatore Romano, il quotidiano vaticano; un articolo di Susanna Paparatti, ‘Una casa per le madri detenute’. Si ricorda che l’associazione Papa Giovanni XXIII fin dal 2013 aveva partecipato ad uno specifico progetto nazionale intitolato ‘Donne prole’ nel quale 28 detenute e i loro figli erano state inserite in dieci comunità ospitanti dislocate in sei regioni italiane (Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Sardegna, Toscana, Veneto): “Una fitta e proficua collaborazione con gli istituti penitenziari e il ministero della Giustizia ha consentito negli ultimi dieci mesi l’uscita in misura alternativa di tre mamme e cinque bambini che hanno trovato posto nelle case della Comunità, mentre si lavora per ulteriori analoghe situazioni. La necessità di tutelate il minore è finalmente al primo posto, dal momento che sono tangibili e gravi i danni provocati a seguito della loro permanenza in carcere: con spazi ridotti, dinamiche non consone alla loro età e carenze, come solo il poter frequentare un asilo o giocare con i coetanei”.

Tuttavia il problema rimane. Prigionieri in quegli istituti di letterale e sostanziale pena una trentina di minori, dagli 0 ai tre anni, continuano a essere reclusi con le loro mamme. La loro unica colpa è appunto di essere figli di una madre carcerata. ‘Innocenti assoluti’, li definisce Luigi Manconi, tra i primi a denunciare questo scandalo. Bambini che “pagano un prezzo altissimo in termini di costruzione del loro futuro, per questioni burocratiche-amministrative. Questi bimbi rimangono prigionieri nelle celle delle nostre prigioni contaminando, senza alcuna colpa, per sempre la formazione della loro vita”. Nel corso dell’ultimo ventennio, dall’inizio del terzo millennio, il numero di questi bimbi “prigionieri” è sempre stato superiore alle 10 unità, talvolta ha raggiunto addirittura quota 50. “Una cifra in apparenza modesta ma una grande infamia, forse la più oltraggiosa per la nostra civiltà giuridica tra quante se ne consumano quotidianamente nei luoghi di privazione della libertà personale”.

Manconi lancia un appello: “Occorre far sì che la politica, proprio durante una campagna elettorale importante per il futuro del Paese, sia capace di risolvere la sofferenza di quei 27 bambini e si occupi responsabilmente della loro sorte futura condizionata in profondità dall’esperienza attuale”.

In altri Paesi hanno attuato soluzioni che potrebbero essere utilmente seguite. In Austria, secondo l’European prison observatory, i bambini possono restare nei penitenziari con le mamme fino ai due anni, ma se la donna ha un residuo di pena di non più di un anno si può fare una deroga. Di modo che madre e figlio restino insieme fino a quando il bimbo non compie tre anni. In Spagna il limite è sempre quello di tre anni, ma per le mamme detenute con figli al seguito si studiano varie soluzioni: a seconda dei casi e dell’eventuale necessità di misure di sicurezza per la mamma, donna e bimbo possono essere ospitate in regime di semilibertà in delle casette accanto al carcere, dove ricostituire per quello che è possibile, qualcosa di simile alla quotidianità. Ci sono poi delle unità separate dal resto del penitenziario e sezioni nido in cui si consente anche alle famiglie di riunirsi. Se un figlio ha entrambi i genitori detenuti, questi ultimi possono stare entrambi insieme al bambino. In queste strutture sono consentite le visite dei famigliari. Nel Regno Unito ci sono unità che possono ospitare, in tutto il Paese, al massimo 84 bambini, fino al compimento del nono mese. Si può chiedere una proroga per altri nove mesi, ma solo se è nell’interesse del bambino. Nelle unità c’è personale formato, la sezione è separata rispetto a quella delle detenute comuni. In Germania, ancora, i bimbi possono rimanere con le mamme detenute fino ai 3 anni. Ci sono delle case famiglia protette che ne possono ospitare circa cento. In Polonia la madre può portare il figlio con sé solo con il consenso del padre. I bimbi possono restare nei penitenziari fino a tre anni. In Portogallo il limite è tre anni, con un permesso speciale possono diventare cinque. In Grecia c’è il limite dei tre anni. Alcune carceri hanno sezioni speciali per mamme detenute con figli al seguito. Le donne possono organizzarsi insieme per la gestione dei bambini.

Per tornare all’Italia: lo scioglimento delle Camere ha di fatto annullato quel provvedimento che ha visto convergere centro destra e centro sinistra che avrebbe spazzato via gli ostacoli burocratici che ancora rendono di fatto prigionieri nelle celle dei bambini di nulla colpevoli. “Quella piccola riforma, intelligente e razionale”, commenta amaro Manconi, “li avrebbe “liberati”, trovando soluzioni alternative alla detenzione”.

Negli ultimi vent’anni sono stati centinaia i bambini che hanno vissuto da galeotti: dagli zero ai tre anni, ma a volte fino ai sei. E’ facile immaginare con quali effetti psicologici: minori che nella prima fase di vita non conoscono altro orizzonte se non quello tracciato dalle sbarre e dal muro di cinta; i rumori e gli odori del carcere, della cella. “I tentativi fatti finora, nel corso di due decenni, per superare la situazione”, dice Manconi, “si sono rivelati inutili se non controproducenti: per inettitudine amministrativa, eccessivo e immotivato rigorismo di una parte della magistratura e incongruenze normative”.

Non resta che augurarsi che il nuovo Parlamento, tra i suoi primi atti concreti, riprenda il progetto di legge Siani, e ne completi l’iter. È un progetto di legge che introduce modifiche significative. In sintesi: si esclude l’ammissibilità della custodia cautelare in carcere per le madri con figli di età inferiore ai sei anni, salva la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In tal caso, il giudice può disporre la misura restrittiva solo negli istituti a custodia attenuata: misura revocabile in caso di evasione o di condotte socialmente pericolose. Si ammette la custodia in carcere dell’imputato unico genitore di una persona con disabilità acuta solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale gravità. Si amplia l’applicabilità del rinvio dell’esecuzione della pena al padre di minori sotto l’anno di vita (se la madre sia deceduta o comunque impossibilitata ad assistere la prole) e alla madre (o al padre) di minore di tre anni con disabilità grave. Infine il ministro della Giustizia deve stipulare con gli enti locali convenzioni per l’individuazione di strutture da adibire a case-famiglia protette, e l’adozione di misure per il successivo reinserimento sociale delle donne condannate. Una misura che può contare su fondi già presenti nel bilancio, e il cui riparto tra le Regioni è stato definito dal ministro Cartabia con un decreto dello scorso settembre.