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di Valentina Stella

Il Dubbio, 13 luglio 2023

Sulla riforma della Giustizia la premier tira dritto e appoggia il guardasigilli. E ai magistrati dice: “Non è una punizione”. Finalmente ieri la premier Giorgia Meloni ha rotto il silenzio e, sollecitata dai cronisti nella conferenza stampa al termine del vertice Nato a Vilnius, ha parlato finalmente di giustizia e degli ultimi accadimenti di queste settimane, ossia i casi Daniela Santanché, Ignazio La Russa e figlio, Andrea Delmastro delle Vedove e lo scontro con la magistratura associata.

Durante l’incontro con i giornalisti dedicato principalmente a questi temi, invece che a quelli oggetto dell’incontro nella capitale lituana, la premier ha esordito: “Noi abbiamo un programma chiaro, un mandato che ci è stato dato dai cittadini, lo realizzeremo perché siamo persone che mantengono gli impegni e conveniamo che in Italia la giustizia ha bisogno di correttivi, va resa più veloce, efficiente, deve essere e apparire imparziale”.

Per quanto concerne le comunicazioni del sindacato delle toghe ha detto: “Mi hanno sorpreso in queste ore alcune dichiarazioni dell’Associazione nazionale magistrati”. Per poi ripetere quanto detto in questo ultimi giorni da diversi esponenti delle tre forze che compongono la maggioranza: “Non c’è uno scontro tra governo e magistratura, quasi come se queste nostre posizioni, che sono appunto posizioni che portiamo avanti da sempre, avessero una sorta di intento punitivo da parte del governo nei confronti della magistratura”.

Giorgia Meloni si è detta “sorpresa che l’Anm interpreti in modo apocalittico il nostro programma come un intento punitivo, separare le carriere significa dare più efficienza alla magistratura e garantirne la terzietà. Qual è il nesso tra una polemica che nasce su un fatto specifico e la separazione delle carriere? Le due cose non sono legate. Sono due materie completamente diverse, consiglio prudenza perché su questo piano si va verso un dibattito che non aiuta, nessuno è custode del bene o del male”. Fatta questa cornice è poi entrata nel merito dei casi singoli che stanno coinvolgendo una ministra, il presidente del senato, e un sottosegretario, tutti di Fratelli d’Italia. In merito a questo capitolo ha debuttato: “Mi riconosco nella nota di Chigi” che tanta polemica aveva suscitato perché da più parti era partita l’accusa che nessuno voleva mettere la faccia su quelle dichiarazioni in cui si affermava che è “lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”.

In merito sempre ad essa: “La nota Chigi non è riferibile al tema La Russa in alcuna misura, ma al combinato disposto fra l’imputazione coattiva (coatta, ndr) a Delmastro, che è una cosa che guardo con stupore, di fronte una richiesta di archiviazione, una scelta lecita giuridicamente ma un fatto che non avviene quasi mai; nel momento in cui avviene nei confronti di un sottosegretario, io ne assumo la consapevolezza, esattamente come rispetto all’avviso di garanzia alla Santanché. Il fatto che si apprenda dai giornali non è normale in uno stato di diritto. Se saltano le regole uno si deve interrogare sul perché”.

E poi ancora: “Mi sono limitata a prendere atto di quelle che mi sono sembrate delle anomalie, ma sono tre casi diversi e vanno valutati ciascuno a sé”. Ed infatti quanto alla vicenda che coinvolge Leonardo Apache La Russa, accusato di violenza sessuale da una ventiduenne della Milano bene, e le dichiarazioni a caldo di suo padre Ignazio che lo ha ‘interrogato’ e già assolto, Meloni ha proseguito: “comprendo molto bene da madre la sofferenza del presidente del Senato anche se non sarei intervenuta nel merito della vicenda. Io tendo a solidarizzare per natura con una ragazza che ritiene di denunciare e non mi pongo il problema dei tempi (si riferisce al fatto che la seconda carica dello Stato abbia stigmatizzato il fatto che la denuncia sia arrivata quaranta giorni dopo la presunta violenza, ndr). Ma anche qui bisogna andare nel merito di cosa accaduto, mi auguro che la politica possa starne fuori. Noi abbiamo approvato un ddl che è passo avanti per la tutela delle vittime. Spero di aver chiarito il mio punto di vista sulla materia per evitare di mandare avanti presunti scontri che dal mio punto di vista non esistono”.

Quanto al caso Santanchè ha osservato tra l’altro che “si tratta di una questione complessa che non compete alle trasmissioni tv. La ministra sta facendo il suo lavoro molto bene, la vicenda sarà chiarita nelle aule dei tribunali, il problema è semmai la notizia di un’indagine attraverso un quotidiano il giorno che la ministra deve riferire in Parlamento” e ha rilevato, ragionando su ipotetici scenari futuri, che “un avviso di garanzia non rende automatiche le dimissioni di un ministro, a maggior ragione con queste modalità”.

In sostanza per la Presidente del Consiglio “non c’è alcuna volontà di aprire un conflitto. Non da parte mia” benché rivendicare quanto detto dalla ‘fonti di Governo’ rappresenti l’opposto di un gesto di pacificazione, o almeno di tregua. Comunque la premier vuole altresì evitare il “rischio di scivolare su un dibattito che non aiuta” perché “non penso che vada messo insieme quello che il governo ha nel proprio programma sulla giustizia e le scelte che i magistrati fanno su casi specifici”. Dunque la riforma della giustizia andrà avanti, “non contro i magistrati”, anzi “speriamo - ha aggiunto - di poterlo fare con il contributo dei magistrati”.

Invece sulla riforma dell’imputazione coatta, che ha coinvolto il suo sottosegretario alla Giustizia Delmastro che ha riferito al suo ex coinquilino Donzelli dettagli sulla carcerazione dell’anarchico Alfredo Cospito, poi riportati nell’Aula della Camera, la premier ha concluso: “Mi sono informata su quante sono in Italia le imputazioni coatte, mi è stato risposto che sono una percentuale irrilevante. Il giudice non deve sostituirsi al pubblico ministero. Ne parlerò con Nordio, credo sia giusto confrontarsi”.