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di Rita Bernardini e Roberto Giachetti

La Stampa, 6 febbraio 2024

Cara Giorgia Meloni, ti scriviamo al nostro 15° giorno di sciopero della fame, un’iniziativa nonviolenta che fa parte del “Grande Satyagraha 2024” deciso in occasione del X congresso di Nessuno Tocchi Caino celebrato nel carcere di Opera nel mese di dicembre scorso. Satyagraha vuol dire “forza della verità” e già tanti cittadini si sono uniti a noi, con uno o più giorni di digiuno, per aprire un dialogo - soprattutto con te - finalizzato a ridurre sensibilmente il drammatico sovraffollamento e, quindi, a migliorare le condizioni di detenzione.

Gli ultimi dati ufficiali, aggiornati al 31 dicembre, ci dicono che nei 189 istituti penitenziari sono ristrette 60.166 persone e che i posti disponibili sono 51.179. Posti detentivi sulla carta perché in realtà ben 3. 400 sono inagibili e quindi inutilizzabili. Siamo dunque ad un sovraffollamento del 126% e, se andiamo nel dettaglio, scopriamo che oltre 100 carceri hanno una media del 150% con punte che superano il 200%. A questo quadro occorre aggiungere la mancanza di personale di ogni professionalità: sono fortemente carenti di organico gli agenti, costretti continuamente a prolungare l’orario di lavoro con turni massacranti; mancano i direttori e vicedirettori, gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi, gli “amministrativi”.

Inoltre, le strutture edilizie (non sole quelle “storiche”, vecchissime, ma anche quelle più recenti) si deteriorano molto più facilmente se chi le vive è in numero spropositatamente più alto di quello per cui sono state progettate. In questa situazione è materialmente impossibile garantire la salute dei ristretti dei quali fanno parte, tra l’altro, molti assuntori problematici di sostanze stupefacenti e casi psichiatrici. È viva nella nostra mente la condizione delle detenute del secondo piano della casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino: donne, soprattutto ragazze, che dovrebbero ricevere cure e che invece si trovano nella disperazione di un reparto esclusivamente carcerario. Le agenti - bravissime - fanno l’impossibile per aiutarle e per interagire umanamente con loro, ma sanno benissimo che, se c’è un posto dove non dovrebbero stare, questo è proprio un penitenziario dove lo stato di salute può solo peggiorare. In quel carcere lo scorso agosto due donne si sono suicidate nell’arco di poche ore. Siamo sicuri, cara Giorgia, che tu comprenda fino in fondo che non è vero che i suicidi in carcere siano inevitabili, soprattutto nella dimensione che abbiamo conosciuto in questi ultimi due anni. Se si manterrà la tendenza del primo mese del 2024, arriveremo alla fine dell’anno a oltre 150 suicidi, cifra mai raggiunta in alcuno stato europeo.

Quasi 16. 000 fra gli oltre 60. 000 devono scontare una pena residua inferiore ai due anni (di questi, 7. 600 devono permanere in carcere per un tempo che va da pochi giorni a un anno). Da noi si entra in galera dalla libertà anche per scontare pochi giorni: ha senso?

Noi, cara Giorgia, abbiamo la nostra proposta per ridurre il sovraffollamento con tutte le conseguenze che comporta non solo per i reclusi, ma anche per chi in carcere ci lavora. Non ci inventiamo nulla di nuovo perché è legge già adottata dall’Italia all’indomani della condanna europea e riguarda solo quei detenuti che hanno dato prova di aver partecipato all’offerta rieducativa del carcere. Non va bene? Siamo disponibili a dialogare su qualsivoglia altra proposta volta a ridurre le presenze negli istituti penitenziari e quindi a migliorare le condizioni non solo dei detenuti ma anche dei “detenenti”, questi ultimi servitori dello Stato che si vedono sovente costretti a lavorare in condizioni evidenti di illegalità. Noi veniamo dalla militanza pannelliana. Il leader radicale ci ammoniva: “non possiamo distrarci nemmeno un giorno dalle carceri”. Perché ne va della democrazia, dello stato di diritto, della civiltà. Incontriamoci. Accetta la richiesta che con speranza ti rivolgiamo.